domenica 17 giugno 2018
Al Giardino dei Giusti di Gerusalemme mi imbatto in Sergio Della Pergola, suo padre Massimo, è stato anche il «papà del Totocalcio». Il sogno di ogni italiano medio, vincere al Totocalcio, nacque dall'esilio di un profugo ebreo triestino, Massimo Della Pergola. Con le leggi razziali del '38, dovette lasciare il posto di giornalista alla "Gazzetta dello Sport" e mettersi in fuga con la moglie Adelina e il piccolo Sergio. In Svizzera, nel campo di lavoro di Pont de la Morge, ebbe la grande intuizione: una schedina con dodici partite, più due di riserva in caso di sospensione o rinvio della gara. Idea maturata nel 1943 e lanciata in campo il 5 maggio 1946, sotto l'egida della Sisal, Società italiana sport a responsabilità limitata. Una società a tre, Massimo Della Pergola e i suoi sodali, Fabio Jegher e Geo Molo che alla prima schedina (costo 30 lire) regalarono la felicità e una bella somma (426mila lire) al signor Emilio Biassotti di Milano. Con la Sisal, Della Pergola senior e i suoi soci non diventarono miliardari - come invece molti tredicisti - perché il Coni li gabbò mutuandola in Totocalcio. In cambio ottennero i diritti sul più povero Totip (la schedina dell'ippica). Della Pergola, che si è rifatto con il giornalismo, almeno non è diventato una vittima del Totocalcio, come Martino Scialpi: nel 1981 fece un tredici miliardario mai riconosciuto dal Coni: «Così - confessa il pover uomo - ho perso tutto, moglie, casa e lavoro».
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