venerdì 25 giugno 2021
Èsorprendente come certe persone-personaggi, certi idoli della cultura di massa, possono scomparire dalla scena pubblica rapidamente, rapidissimamente. Appena una quindicina di anni fa o forse solo una decina, il nome di Philip K. Dick era diventato popolare oltre la cerchia dei cultori della fantascienza. Lo scoprivano e studiavano decine di università, e lo si paragonò a Poe, ben oltre la fantascienza sociologica e negativa di Zamjatin Orwell Huxley... Lo si ristampava di continuo e i giovani scrittori e intellettuali d'assalto lo citavano ogni due per tre, e pur essendo uno scrittore non facile si tiravano film dai suoi romanzi e racconti, come fece perfino Spielberg, il regista più famoso del cinema di quegli anni, perfino più di Tarantino (ma il suo più bravo “allievo” fu forse Terry Gilliam, che veniva non a caso dai paradossi comici dei Monty Python, dimenticati anche loro!). Ricordo un festival di Torino in cui ne parlammo insieme davanti a un pubblico davvero “di massa” io e la Nanda Pivano, che a onor del vero ne sapeva meno di me ma che stette meravigliosamente al gioco e si aggiornò con una rapidità sorprendente. I romanzi di Dick, usciti in passato quasi silenziosamente su “Urania”, divennero famosi e citatissimi: La svastica sul sole, Ubik (che dette il nome a negozi iniziative riviste), I simulacri... e l'editore Fanucci, allora dinamicissimo, li lanciò con ostinata e fruttuosa fedeltà. Emmanuel Carrère scrisse una simpatetica biografia di Dick che prendeva per titolo la frase più nota di Ubik, “Io sono vivo, voi siete morti”, e Lawrence Sutin una saldamente accademica, Divine invasioni, per Fanucci. E si scoprì una vita, in realtà, ricca di ossessioni e di droghe ma povera di eventi, dentro la middle-class yankee. E la rivista che dirigevo, “Linea d'ombra”, riuscì a pubblicare grazie a Stefano Benni un suo formidabile delirio, una conferenza fatta in Europa dal titolo Se questo mondo vi sembra brutto, dovreste vedere cosa sono gli altri. Ci si chiese il perché di tanto successo come oggi ci si chiede il perché di tanto silenzio. Perché piacquero, perché ci piacquero così tanto le invenzioni estreme di Philip K. Dick? Forse per l'impasto di lucidità da grande sociologo che si fondeva con l'estremismo di un visionario: sulla società presente e non su quella del futuro, o sul futuro che era già presente nelle nostre alienazioni e nelle nostre ansie e di cui la società statunitense era all'avanguardia. Tutto vero, credo, ma resta che il romanzo che io amai di più (e di cui scrissi per Fanucci una prefazione) fu Un oscuro scrutare, il cui titolo era un'esplicita citazione da San Paolo...
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