venerdì 30 aprile 2004
La personalità innata, e questa sola, permette a un uomo di stare di fronte a presidenti o generali o in qualsiasi alta società con distacco, e non la cultura o il sapere o l'intelligenza. Abbiamo provato tutti forse più compassione che sdegno nei confronti di persone che, prima, si ergevano soddisfatte e sicure di sé e, poi, appena si trovano di fronte a un'autorità o al potente di turno, sono pronte a leccargli i piedi fino al disgusto, adulando, mentendo, adorando. Da questa vergognosa figura non ci salva né la cultura (quanti servilismi hanno dovuto sopportare gli intellettuali per l'elogio di un potente) né il benessere perché la gloria che ti può concedere la benevolenza del principe per molti
vale più di ogni altro bene. E' solo "la personalità innata" a salvare la dignità di fronte a presidenti, generali e autorità varie. Ce lo ricorda il noto poeta americano Walt Whitman (1819-1892), quello delle Foglie d'erba, in un testo intitolato Democratic Vistas che trovo citato in un articolo di una rivista inglese. E', dunque, questione di dignità interiore, essa sola impedisce di sacrificare il rispetto dovuto anche a se stessi per poter ottenere un po' più di carriera o una posizione accanto a chi conta. Se invece si lascia aperto il varco all'ambizione o all'interesse, allora si diventa pronti a tutto, a umiliarsi, a calpestare le proprie convinzioni, a strisciare e a farsi tappeto di fronte a chi può assicurarti quella promozione o quell'attestato di gloria ben misera. Anche nelle questioni d'amore non si deve mai venir meno alla propria dignità: chi non ricorda l'amara storia del professor Rath nel celebre film L'angelo azzurro di Josef von Sternberg?
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