venerdì 14 settembre 2012
Registro frequenti esternazioni di allenatori in servizio che mi fanno rimpiangere i Mister di una volta. E non mi riferisco necessariamente ai più giovani: Stramaccioni Boy, ad esempio, mi sembra uno della vecchia guardia. Ha studiato non solo tecniche e tattiche ma anche gli uomini. Ho grande stima dei tradizionalisti, in particolare quelli che non scaricano responsabilità sui giocatori ma se le assumono tutte. Fabio Capello, ad esempio, ha affrettato la fine del suo rapporto con la nazionale inglese - che fino a prova contraria voleva tenerselo - per difendere l'onore di John Terry, degradato dalla sua federazione per presunte offese razziste contro Rio Ferdinand, accusa poi caduta. Stimo Prandelli uomo e tecnico ma non mi sono piaciute due esternazioni: la prima, a Sofia, dopo il sofferto pari con la Bulgaria attribuito a una squadra imperfetta e forse svogliata, eppur da lui scelta; la seconda, a Modena, quando con parole crudeli ha “scaricato” Diamanti al grido di “basta coi trequartisti”, offrendolo in pasto alla critica come capro espiatorio di una squadra sbagliata. Peggio ancora sono quegli allenatori che lasciano alle società il delicatissimo compito di “controllare” la vita privata dei calciatori, come si è appreso dal velenosissimo “caso Vieri” che peraltro non ha stupito il navigato Gattuso. «Bobo Vieri fu spiato...»: potrebbe essere l'inizio di una filastrocca da lasciare ai futuri appassionati di calcio; un po' come «Garibaldi fu ferito...». Anche perché quella spiata sarà pagata dall'Inter e da Telecom molto più di una ferita. Bobo adesso sta bene, balla sotto le stelle, ma intanto la leggenda del pallone ha registrato uno storico passo avanti (o indietro, direi) nella tutela della privacy dei suoi top players. Non oso pensare a quanto potrebbero ammontare i risarcimenti postumi se fossero richiesti agli eredi del più grande Spione di tutti i tempi, il cui nome faccio - in realtà - con grande rispetto e immutata nostalgia: Oronzo Pugliese. Nato più di cent'anni fa, il Mago di Turi (storicamente contrapposto al Mago Helenio Herrera) era un maniaco della vita d'atleta e circondava i suoi ragazzi più irrequieti di mille attenzioni, arrivando a spiarne quotidianamente i movimenti e le azioni, anche quando si realizzavano “fuori orario”. Soprattutto dalle 22 - ora del coprifuoco - in avanti. Vittima storica dei suoi assillanti controlli, l'attaccante rossoblù Bruno Pace, colui che, pur avendo tante qualità, aveva tentato - purtroppo senza riuscirci - di sostituire il mitico “Dondolo” Harald Nielsen, gelido danese tutto campo e casa. Era il Sessantotto, sui muri del vecchio stadio di Bologna era comparsa una scritta significativa: “Pace al Vietnam”. Non oso confrontare gli stili di vita di quegli anni ruggenti con la Dolce Vita dei contemporanei. Ma quando chiesi all'amico Pugliese il motivo della sua ossessione che lo faceva passare da gretto moralista, mi rispose: «Io controllo solo il capitale che mi è stato affidato. In campo ci vanno loro, mica io...». Meditate.
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