venerdì 28 agosto 2009
Mi dice un amico: «Ronaldinho ha fatto un bel passo avanti...». Lo dice per provocarmi: già alla vigilia dello scorso campionato avevo preso posizione negativa nei confronti del sempreridente Dinho. Non contro l'uomo, per carità. Motivavo la mia scelta: non troverà posto nel Milan finchè avrà concorrente Kakà. E lo si vide subito. A parte quell'incredibile gol di testa nel derby, Ancelotti non gli avrebbe dato spazio per esibire le sue favolose giocate che nel frattempo erano naufragate in una realistica incapacità di ritrovarle, forse per debolezza di spirito, di corpo, magari di saudade, la nostalgia che da sempre è l'alibi di un brasiliano arrugginito. E dire che l'aveva voluto fortissimamente Berlusconi, Ronaldinho, addirittura in campagna elettorale, al punto che per dimostrare di aver fatto una scelta giusta si è privato prima di Kakà e poi anche di Carlo Ancelotti.
«Dinho ha fatto un passo avanti...», dice il mio amico. E io cerco di tradurre. Tatticamente, un passo avanti verso la posizione in campo pretesa dal Cavaliere: a ridosso delle punte, anzi, «quasi punta», per dirla alla Carosio, e dunque «quasi gol»: e infatti a Siena non ha segnato ma ha prodotto assist prodigiosi trasformatisi in gol. Ne ho preso atto, perché in questi casi il critico deve avere l'onestà di correggersi. Ma forse è troppo presto. Il derby, il campionato e la Coppa diranno la verità sul "dentone" 29enne di Porto Alegre, Pallone d'Oro, mito affermato con controfirma di Pelè, sbarcato in Italia per mostrar meraviglie come audacemente affermava quella gigantesca pubblicità che faceva di lui una squadra, affidandogli undici diversi ruoli e un solo infaticabile sorriso. Solo che il sorriso si spense subito e il perché erano - forse - solo dicerie. Ma adesso ha fatto il passo avanti. Ha detto dei suoi dolori, delle incomprensioni patite, delle chiacchiere cattive sul suo conto che avevano fatto diventare l'atteso Angelo dalla Faccia Pulita una sorta di guerriero della notte. Nottambulo, insomma. Anche pochi giorni fa, a Barcellona By Night, secondo gossip. (Non si dice più cronache, ovvero giornalismo, ma gossip, pettegolezzo, e anche di più, la calunnia è un venticello, chissà...). Ha parlato anche perché, seppur in ritardo, ha deciso di capire l'Italiano, e di parlarlo. I suoi strapagatissimi custodi, condottolo nel Paradiso del Pallone lo avevano parcheggiato nel Limbo dell'Ignoranza, negandogli la possibilità di difendersi, di ribattere alle critiche, ammutolito come un vero colpevole. Io gli avrei detto: prendi come esempio Mourinho. Quali siano le sue idee calcistiche non si sa, ma s'è fatto subito grande con un pugno di parole giuste. In un italiano volontariamente portoghesizzato. E finalmente Dinho - per ora rinato a Siena, nella terra del Dolce Stil Novo - ha parlato. Smentendo le favole metropolitane. Compresa quella che lo volle, alla presentazione dell'ultimo Milan, in piedi su un tavolino a richiesta di Berlusconi. Ora sono i tifosi a chiedergli di salire in cattedra. E di fare un gol. All'Inter, come un anno fa.
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