martedì 7 maggio 2019
«Brexit o no, che cosa vogliamo fare di questa Europa affidata oggi alle nostre mani?». «Perché tutti quanti
insieme non lanciamo al mezzo miliardo di cittadini che stiamo governando, grazie al loro libero consenso democratico, un messaggio alto di rinnovata fiducia nella "casa comune"?». «Che ne dite di sottoscrivere una dichiarazione solenne, con la promessa di un nuovo impegno per rianimare e rilanciare sul serio il progetto di pace e di collaborazione fra i nostri popoli ideato dai "padri fondatori"?». «Vogliamo ricordarlo o no agli europei, con forza, che da soli nessuno da noi ha speranze di contare ancora qualcosa nel mondo?».
Quelle elencate sono domande "impossibili", forse scandalose, che sarebbe fantastico se dovessero materializzarsi davvero fra 48 ore, quando in Romania si aprirà il cosiddetto "vertice informale" dei capi di Stato e di governo dell'Unione. Ma con ogni probabilità resteranno solo un sogno, che nessuno fra i protagonisti radunati a Sibiu proverà a trasformare in realtà. Perché è proprio la "real politik" che lo vieta, perché suonano come
provocazioni da visionari, cadute di stile retoriche e perfino controproducenti.
Va bene allora, basta con le divagazioni oniriche e guardiamo ai fatti. Cominciamo dal primo fatto, la prima e più impellente questione sul tappeto, aldilà dell'ordine del giorno predisposto per l'incontro nel capoluogo della Transilvania: fra poco più di due settimane si vota in tutta Europa. Si vota per rinnovare quel Parlamento comune che 40 anni fa destò grandi speranze,
ma che da quel primo appuntamento ha visto sistematicamente scendere il numero di chi ha scelto di andare alle urne. Questa volta forse – chissà? – ci sarà una ripresa nell'affluenza alle urne, magari come risposta istintiva alla minaccia neo-nazionalista. Una sorta di "effetto Spagna" allargato al Continente. Ma sarà meglio non farsi troppe illusioni. Come dare una spinta agli elettori, quindi?
Quando vengono interpellati uno per uno, i responsabili della Ue non lesinano dichiarazioni di buona volontà, sono prodighi di ottime intenzioni e belle parole. La presidenza di turno romena, ad esempio, si è attivata lodevolmente in vista della riunione di dopodomani, dicendosi pronta a sfruttare questa ennesima occasione per invitare i partner a riflettere sui traguardi storici finora conseguiti e sulle risorse di cui l'Unione tuttora dispone per riprendere il cammino con lena. Non a caso, il motto del semestre guidato dal governo di Bucarest recita «Coesione, valore europeo comune».
Anche la Commissione di Bruxelles, in vista di Sibiu, ha adempiuto al suo compito istituzionale con la consueta diligenza, diffondendo a fine aprile un ponderoso dossier (quasi 150 pagine) ricco di dati, tabelle, box a colori dalla grafica accattivante. Vi si sottolineano i traguardi raggiunti, i punti nodali ancora da affrontare, con annesso tasso di urgenza. Non manca neppure un di più di "spirito" europeista, con la ripresa e l'arricchimento di diverse proposte che figuravano nel Libro bianco sul futuro dell'Europa redatto per i 60 anni dei Trattati di Roma.
Il tutto è inquadrato in un'analisi realistica e consapevole delle sfide principali che attendono l'Unione in un mondo sempre più complicato. Manca solo un'adeguata dose di autocritica, o se vogliamo di critica a certi comportamenti degli Stati membri. Come quando si rivendica fra i maggiori successi dell'ultimo quinquennio l'aver "salvato" l'appartenenza della Grecia alla zona euro, senza citare come Atene fu prima ridotta (e da chi: vedi alla voce Germania) e poi costretta ad accettare il piano di salvataggio Ue. Per ripartire davvero bene, bisogna riconoscere i passi falsi compiuti.
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