mercoledì 20 febbraio 2019
«Pianse ed amò per tutti». Della lunga e ormai stucchevole lirica che D'Annunzio compose in morte di Giuseppe Verdi, nella quale il Vate immagina Dante, Leonardo e Michelangelo chini sul caro estinto, si cita solitamente quell'unico settenario che, bisogna ammetterlo, icasticamente scolpisce e tramanda il genio del bussetano. La funzione sociale dell'artista è appunto quella che Verdi svolse da par suo, e cioè di dare forma in parole, colori, suoni, i pensieri, i sentimenti, i desideri che tutti avvertiamo ma non sappiamo esprimere. Saint-John Perse chiama “Prìncipi dell'esilio” quelle persone che svolgono un lavoro che solitamente passa inosservato ma resta prezioso e insostituibile. Paolo Isotta merita ad honorem il titolo di “Principe dell'Esilio” per tutti i libri che ha letto per noi, versandoli in 432 pagine di contagiosa erudizione, intitolate La dotta lira. Ovidio e la musica (Marsilio, pagine 426, euro 22). Nessuno come Ovidio ha mai saputo interpretare il mito con tale immedesimazione e con tale felicità narrativa. A lui hanno attinto poeti e musicisti di ogni tempo, e Isotta sa guidare il lettore nei meandri della biblioteca mentale in cui si specchia la cultura occidentale. L'intuizione delle Metamorfosi di Ovidio è appunto, ben prima di Lavoisier, che nulla è stabile, tutto si trasforma e ricomincia. E Isotta insegue le metamorfosi, in poesia e in musica, dei miti di Dafne e di Orfeo, di Euridice, di Arianna e Medea, di Ero e Leandro, di Galatea, di Piramo e Tisbe, valorizzando, fra l'altro, le origini del melodramma con Ottavio Rinuccini e Jacopo Peri, senza trascurare Monteverdi, Mercadante, Haydn e su su fino a Strauss. Ovidio era di Sulmona, e fu relegato da Augusto a Tomi, nella gelida Scizia. Isotta non nasconde ammirazione e affinità con un altro abruzzese, Gabriele D'Annunzio, del quale trascrive in esergo questi versi: «In silenzio guardammo i grandi miti / come le nubi sorgere dall'Alpe / ed inclinarsi verso il bianco mare». E siccome eravamo partiti da Verdi, non possiamo non applaudire, nel quarto capitolo, le pagine che Isotta dedica ad Arianna e Medea rilette in Violetta, protagonista della Traviata, valorizzando anche l'apporto del libretto di Francesco Maria Piave. Entrambe le eroine del mito sono archetipi della donna abbandonata e del contrasto d'affetti: «Il modo col quale Violetta pensa ad Alfredo e lo idealizza deriva pur sempre da quello di Arianna verso Teseo, Didone verso Enea, Medea verso Giasone. Anche il proceder delle antitesi concettuali mostra l'influenza della poesia classica e, credo, in particolare dei passi ovidiani. Ma la più forte antitesi poetica è fatta da Verdi in persona: nel mentre Violetta canta nella Cabaletta il proposito di buttarsi nei godimenti, giunge la voce di Alfredo che, fuori scena, canta la melodia della Cavatina, A quell'amor: un memento del destino della donna, alla quale l'amore porterà un'effimera gioia e non effimere sofferenza e morte». Il libro è dedicato, con gratitudine e amicizia, all'editore Cesare De Michelis, recentemente scomparso.
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