mercoledì 8 giugno 2016
Le nuove religioni hanno sempre distrutto gli idoli e i templi delle religioni precedenti. Gli antichi ebrei distruggevano gli idoli delle popolazioni pagane circonvicine; anche i cristiani hanno abbattuto statue ed edifici greci e romani, talvolta riutilizzandoli come è avvenuto nel duomo di Siracusa che incorpora un tempio di Minerva del 480 a. C. Quello che più scandalizza, però, non è la rievocazione di eventi del passato, bensì il ripetersi odierno dello scempio per mano dei criminali dell'Isis.Al tema ha dedicato una fervida ricognizione Maria Bettetini in Distruggere il passato. L'iconoclastia dall'Islam all'Isis (Raffaello Cortina editore, pp. 136, euro 12). Premessa indispensabile: scandalosa è la distruzione della città di Palmira, ma ancor più esecrabile è la decapitazione dell'ottantaduenne archeologo Khaled ad Asaad, custode degli scavi; non c'è bilancia che contrappesi l'assassinio di esseri umani, oltretutto con macabra messinscena come avvenne appunto a Palmira, con la distruzione dei siti archeologici: una vita umana vale più delle statue picconate dai miliziani nel museo di Mosul.L'ha detto definitivamente Ezra Pound nel Mauberly V (1920), qui nella traduzione di Eugenio Montale: «Ne è morto una miriade,/ E dei meglio, fra tutti gli altri,/ Per una scanfarda spremuta,/ Per una civiltà scassata,// Fascino, fresche bocche sorridenti,/ Veloci sguardi ora sotto le ciglia della terra,// Tutto per due palate di statue in pezzi/ E per qualche migliaio di libri squinternati».Tuttavia, e col cuore stretto, c'è anche il problema della conservazione del patrimonio artistico, e di questo – senza dimenticare quello – si occupa Bettetini, docente di Storia delle idee ed Estetica all'Università Iulm di Milano. Dopo un capitolo sul rigoroso aniconismo della religione ebraica (Dio è inesprimibile, non può essere rappresentato), pagine interessanti sono dedicate all'assenza di immagini nell'islamismo che – è bene non dimenticarlo – non è una terza religione, bensì un'interpretazione deviata del giudaismo e del cristianesimo.L'iconoclastia che insanguinò l'impero bizantino nell'VIII e nel IX secolo, fu un provvedimento non religioso ma politico, nel tentativo degli imperatori Leone III e Costantino V di tenere a bada l'aggressività dei musulmani che accusavano i cristiani di idolatria. L'imperatrice Irene, reggente per conto del figlio minorenne Costantino VI, nel 787 favorì la convocazione del secondo Concilio di Nicea – ecumenico per la presenza dei vescovi orientali e dei legati pontifici – che chiarificò autorevolmente la questione, distinguendo il culto di latrìa, che si deve a Dio solo, e la venerazione delle immagini che rimandano al modello rappresentato.La Chiesa, infatti, ha sempre giustificato e favorito le immagini dal momento che Dio si è fatto uomo, dunque divenendo rappresentabile; e all'obiezione che l'immagine di Cristo ne esprime l'umanità ma non la divinità, Nicea II rispose che, analogamente, qualunque immagine di uomo ne raffigura il corpo, ma non per questo ne nega l'anima. Di passaggio, ricordiamo che Irene non fu madre esemplare: regnò insieme al figlio sino al 797, quando lo fece deporre e accecare. Per cinque anni governò da sola, e fu deposta da una rivolta di palazzo (802).Tornando al tema principale: perché è giusto rallegrarsi per il salvataggio di Palmira, quantunque malconcia? Maria Bettetini risponde con sant'Agostino: «Perché è il passato, è l'esperienza del passato che mi permette di sapere che quel che è stato deve per forza, prima, essere stato un presente. Ed è lo stesso passato che mi consente di intuire il futuro». Lo aveva capito anche 'Abd Al-Latif Al-Bagdadi (1162-1231): «Una volta sì, che i governanti proteggevano le opere d'arte del passato, anche quando venivano da civiltà diverse. Ma oggi, oggi non capiscono nulla, sbarrano gli occhi come sorpresi, e poi distruggono tutto per ricavarne denaro».
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