mercoledì 14 maggio 2014
Uno degli sport più praticati dagli scrittori è quello di insultare i colleghi. Direttamente a voce e in faccia, o per corrispondenza, o anche per recensione/stroncatura, magari per interposta persona, per esempio Montale contro il Nobel a Quasimodo, tramite Emilio Cecchi. Una volta si poteva arrivare al duello, magari per finire nel ridicolo, come accadde a Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli. Non mancano antologie di insolenze letterarie come Il piccolo libro degli insulti di Beppe Cottafavi, e sono in commercio anche repertori di epiteti per categorie: contro i politici, o gli sportivi, o gli insegnanti. Va detto che la stroncatura e l'insulto sono soprattutto un genere letterario: lo stroncatore o l'insultante di solito non intende davvero offendere o fare del male al destinatario; più che altro vuole fare sfoggio di wit, come fin dal Seicento gli inglesi chiamano l'ironia sarcastica e pungente. Sublime il telegramma di George Bernard Shaw a Winston Churchill: «Le ho riservato due biglietti per la prima del mio Pigmalione. Porti un amico. Se ne ha uno». Ipersublime la risposta di Churchill: «Non posso venire alla prima. Verrò alla seconda. Se ci sarà».Giulio Passerini offre un breve florilegio di insulti e litigi dal mondo dei libri, Nemici di penna (Editrice Bibliografica, pagine 96, euro 9,90). Stralunate le avversioni di taluni scrittori per qualche collega defunto: Mark Twain (1835-1910), per esempio, detestava Jane Austen (1775-1817) al punto da scrivere: «Tutte le volte che leggo Orgoglio e pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia». Qualcosa di analogo avrebbe voluto fare Shaw addirittura contro Shakespeare: disseppellirlo e prenderlo a sassate. Il russo Eduard Limonov, oppositore di Putin, noto in Italia soprattutto perché Emmanuel Carrère ne ha scritto la biografia, arriva ad accusare Dostoevskij di aver disonorato la condivisa patria russa. Epici gli scambi di improperi fra Gabriel García Márquez e Mario Vargas Llosa, ma di mezzo, oltre alla letteratura, c'era anche la moglie di Vargas Llosa corteggiata da Márquez. Faulkner e Hemingway si detestavano cordialmente. Faulkner disse del collega: «Non ha coraggio, non si è mai arrampicato su un ramo sporgente. Non ha mai usato una parola che inducesse il lettore a cercarla sul vocabolario». Anche Sua Altezza Serenissima Umberto Eco è sceso dal piedistallo per prendersela con Ken Follet. Eco: «Oggi ho riscritto il capolavoro del Manzoni affinché la generazione più giovane non si annoi leggendo delle sciatterie nanesche come quelle di Ken Follet». Risposta: «A Eco preferisco Dan Brown». Filippo Tommaso Marinetti su Gabriele d'Annunzio: «Un cretino con lampi d'imbecillità». Ma altri attribuiscono la battuta, quando non viene assegnata a Ennio Flaiano, a D'Annunzio contro Marinetti. Ci sono poi gli aforisti sarcastici di professione, come Truman Capote, Tom Wolfe, Gore Vidal: collezione troppo vasta per una selezione adeguata. Mi dispiace, e non da ora, che due miei venerati idoli, Gertrude Stein ed Ezra Pound, non andassero d'accordo per via del celebre incidente della sedia. Gertrude, negli anni '20, accolse Pound nel suo mitico salotto parigino di rue de Fleurus, e gli offrì una delicata poltroncina che si schiantò sotto il peso dell'atletico Ezra. Disse Gertrude: «Tutto quello che avrebbe dovuto fare era entrare e sedersi per una mezz'oretta. Ma quando si alza la sedia è rotta, la lampada è rotta. Ez è a posto, ma non posso permettermi di averlo per casa». Ez si vendicò anche parodiando la pronuncia di Gertrude: «Zi crede che Gertie Stein appia uno ztile pérche zcrive Yittish con parole inclesi». Grandissimi entrambi, però.
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