venerdì 27 marzo 2015
Iclan sono dei malavitosi, le tribù dei modaioli tardo adolescenziali; le famiglie sono rinnegate nella sostanza biologica e storica, le comunità determinate da volontà effimere ed umori volatili; le patrie sono residuali di armamentari razzisti. Questo è il tempo delle singolarità, velocemente ridotte a solitudini e basta poco: una necessità, un piacere, un interesse, per ritrovarsi a mendicare un gesto, uno sguardo; un intervento che si faccia carico delle mancanze, delle incapacità, di bisogni che non hanno nome, non sono sindacalizzabili né possono trovare soluzione a termine di legge. Vicinanza e compassione, da dove, da chi?È ben poca cosa il vivere che non trova sbocco, accesso al mistero che ci avvolge; ci travolge in un soffio: un tifone che lascia nudi, esposti alla furia degli eventi o una leggera brezza che fa nuova, rigenerandola, ogni cosa intorno senza mutare un accento ma svelandone consapevolezza. È in questa tensione che vive il concerto: un tacito accordo in regime di libero scambio tra il palco, intermediario del fluire emotivo sensoriale di una esperienza, ed il pubblico in cui si riflette amplificandosi; viene scomposta e ricomposta creando uno spazio risonante e condiviso in cui la quotidianità del vivere si rifà clan, tribù, famiglia, comunità, patria.
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