sabato 25 agosto 2012
Ieri qui sulla filosofa che mercoledì sul "Secolo XIX" con superficialità devastante definiva comunque «insincero» il sì «da qui all'eternità» tra un uomo e una donna. Curiosità: stesso giorno su "Repubblica" (pp. 1 e 43) il noto zoologo Desmond Morris raccontava ovviamente a modo suo «il segreto di 60 anni con mia moglie». Sessanta? Non è l'eternità – certo – ma nel genere ci si avvicina. Ancora: sempre ieri sul "Venerdì" (p.12: "Elogio della curiosità che manda avanti umanità e progresso") un lettore scrive a Michele Serra che lui «credente» considera «apocrifa la brutta storia nella Bibbia sulla punizione di Adamo ed Eva per la loro voglia di conoscenza» e Serra si dice «molto d'accordo». Anche Malpelo, ma questa lettura non è «apocrifa», è sbagliata e falsificante. Se siamo credenti, sappiamo che siamo stati creati per conoscere tutta la realtà, Dio e l'uomo soprattutto, e nel linguaggio biblico «conoscere» è anche «amare». E così Dio è amore e verità insieme. Finito? No. Il concetto servirebbe anche per rileggere cose incontrate di recente su grandi giornali, per esempio "Corsera" (12/8, "La Lettura", p. 8) "La fine del peccato", dove «peccato» si identifica semplicisticamente con «l'idea di trasgressione» e sconfina subito nel «senso di colpa», che è tutt'altra cosa. Ancora prima – "Secolo XIX", 7/8, pp. 1 e 9: "I dieci comandamenti nelle città del peccato" – pagine cariche di superficialità anche ridanciana sui «peccati in piazza», che con evidenza banalizzano un'iniziativa del Movimento cattolico "Rinnovamento dello Spirito" in collegamento con la Cei e con il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Possibile che su certi temi la serietà e l'informazione siano una chimera? Anche questa è una «curiosità»…
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