giovedì 21 ottobre 2021
La definizione di cure palliative, riformulata pochi mesi fa dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, così recita: «Le cure palliative sono un approccio che migliora la qualità della vita dei pazienti (adulti e bambini) e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problemi associati a malattie letali. Prevengono e alleviano la sofferenza attraverso l'identificazione precoce, la corretta valutazione e il trattamento del dolore e di altri problemi, siano essi fisici, psicosociali o spirituali». Il termine "palliativo" deriva dal latino pallium, che significa "mantello", "protezione", cioè qualcosa che avvolge e dà sollievo. Infatti il termine è stato introdotto in ambito anglosassone negli anni 60-70 per indicare una cura globale e multidisciplinare dei malati affetti da patologie come il cancro e quelle neurodegenerative, per i quali non è possibile la guarigione, avviati verso l'esito finale.
L'attenzione iniziale ai malati oncologici ha fatto sì che la priorità delle cure palliative si concentrasse sul trattamento del dolore e si dedicasse alle ultime settimane di vita. I buoni risultati ottenuti dalle terapie oncologiche, da un lato, e le complesse problematiche assistenziali delle malattie neurodegenerative e di altri processi cronici, dall'altro, hanno richiesto uno sviluppo delle cure palliative per garantire un approccio più globale al paziente, a tutti i suoi bisogni e in tutte le fasi della vita. Per cui si parla sempre più di cure palliative precoci, cioè non solo per la fase terminale della malattia, e simultanee, ossia in contemporanea con trattamenti ancora parzialmente attivi sulle cause della malattia. E si parla di cure palliative pediatriche, dell'adulto, geriatriche.
In Italia l'accesso e l'organizzazione della rete per le cure palliative (assistenza domiciliare e hospice) è promossa e regolamentata dalla legge 15 marzo 2010 numero 38.
Lo spirito che caratterizza le cure palliative si può esprimere in tre punti fondamentali: la persona malata, la relazione di cura, l'accompagnamento. Il malato è al centro delle cure, non la malattia o l'organo interessato: quindi la persona riconosciuta nella sua unicità, nei suoi bisogni fisici, psicologici, spirituali e relazionali, assistita nel rispetto della sua dignità, libertà, vulnerabilità, ma anche la relazione di cura, per una precisa e organizzata presa in carico al fine di garantire un efficace controllo del dolore, il sollievo da disagi e sintomi che provocano sofferenza nel malato e mettono alla prova la stessa famiglia. In azione è una équipe multidisciplinare con competenze specifiche in stretta collaborazione tra loro (medico, infermiere, psicologo, cappellano, volontario), capace di offrire una risposta ai vari bisogni del malato, garantendo una visione olistica della persona e continuità delle cure.
Quindi le cure palliative non sono una "medicina della rassegnazione", ma richiedono professionalità e un approccio attivo e sempre più qualificato per una risposta completa al malato, perché si può sempre curare anche quando non si può guarire.
Serve accompagnamento, cioè attivare un'assistenza che stia vicino al malato e ai suoi familiari, fino alla conclusione della sua esistenza terrena, confortando, alleviando il dolore, aiutando a confrontarsi con il "senso" dell'andare verso la morte, che può essere riconosciuta come "sorella". Si possono in questo modo evitare solitudine, paure, tentazioni verso la richiesta di eutanasia o di suicidio assistito.
La lettera Samaritanus bonus (Congregazione per la Dottrina della fede, 14 luglio 2020) ricorda che «le cure palliative sono l'espressione di autentica donazione umana e cristiana del prendersi cura, il simbolo tangibile del compassionevole stare accanto a chi soffre».
Cancelliere Pontificia Accademia per la Vita
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