venerdì 28 marzo 2003
C' è una mania pro acqua, che ha intaccato i grandi chef da quando il re della nouvelle cuisine Gualtiero Marchesi ha dichiarato che è molto meglio pasteggiare con l"acqua che col vino per capire un piatto. Ora, la tradizione della cucina italiana non solo vuole il vino accanto al piatto, ma nel nostro Paese c"è pure una cultura diffusa di piatti cucinati col vino. Che non danno alla testa, ma soltanto sapore, visto che il vino in cottura perde il suo valore alcolico, mentre trattiene quello aromatico. Uno dei più importanti trattati della storia della cucina italiana è quello di Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Paolo V nella seconda metà del Cinquecento (l"Opera dell"arte del cucinare) dove il vino appare in centinaia di ricette.Tutte le carni arrosto, del resto, migliorano con l"aggiunta di vino bianco dopo la rosolatura; e per carni come agnello e coniglio si rende indispensabile per coprire il sapore dolciastro e quello di selvatico. Anche il pesce cucinato in padella acquista profumo con una spruzzata di vino bianco. Per ottenere un buon risultato, il vino deve essere fatto evaporare a fiamma vivace quando si irrorano gli ingredienti rosolati oppure, deve essere ben ridotto quando viene impiegato per una salsa. Altrimenti, se viene aggiunto a fine cottura, il gusto risulterà troppo acido e "vinoso".Tra i piatti italiani a base di vino ecco la "carbonade" (spezzatino di vitello al vino rosso) in Valle d"Aosta; la "rostisciada" (umido a base di frattaglie e carni di maiale) in Lombardia; il camoscio alla tirolese; la scottiglia (umido di carni miste con vino, pomodoro e aromi) in Toscana; i palombacci all"uso di Todi. Quindi la "buridda" (zuppa di pesci liguri), il brodetto romagnolo, l"abbacchio alla romana; le anguille in umido alla napoletana e il pesce all"acqua pazza, il tonno ""muttunato", con una cottura in umido con vino bianco, pomodoro e erbe aromatiche in Sicilia, per finire con le triglie alla Vernaccia in Sardegna.
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