sabato 8 ottobre 2016
Quando cerchi giustizia e trovi solo la fredda legge, o peggio il muro impenetrabile della "legge di Stato", il mondo rischia di crollarti addosso. Quando pensi che lo Stato dovrebbe proteggerti e che nei luoghi dello Stato sei al sicuro, per scoprire invece che in alcuni casi le peggiori insidie sono nascoste proprio lì, il tuo senso di appartenenza ad una comunità si dissolve e lascia il posto alla solitudine e alla disperazione. Sono probabilmente questi i sentimenti che provano in queste ore (ancora una volta) i familiari di Stefano Cucchi, ben oltre l'indignazione pubblicamente espressa dalla sorella Ilaria. Sentimenti che – dopo sette anni di indagini e di atti processuali che non sono riusciti a fugare nessuno dei peggiori dubbi sulle cause della morte del giovane romano – non possono più essere confinati al dolore di una famiglia, ma investono l'essenza di uno Stato di diritto e delle regole su cui si fonda.
Quasi sei anni fa, presso l’ospedale Pertini di Roma, Stefano Cucchi sarebbe morto per malnutrizione, secondo quanto deciso dai giudici della Terza Corte d’Assise d’Appello di Roma. L’effetto è quello di scagionare i medici dell’ospedale che dovevano curarlo, mentre nel procedimento nei confronti dei carabinieri che lo ebbero in custodia è emersa una perizia che attribuisce il decesso a un improvviso attacco di epilessia. Queste “verità giudiziarie”, tuttavia, appaiono fragili e inconsistenti come una sentenza scritta sull’acqua.
Non ha senso per un non-esperto entrare nel merito dell'approfondita perizia medica su cui si fonda la sentenza né sulla nuova consulenza. Ha molto più senso, invece, rilevare la drammatica distanza tra questa tesi e il comune buon senso, che si basa sugli elementi oggettivi che ognuno di noi è in grado di giudicare. Come le foto del viso tumefatto e del corpo lacerato del ragazzo: immagini strazianti che indicano, evidentemente, pestaggi ripetuti e forme di abuso dell'autorità. Nella vicenda giudiziaria di Stefano Cucchi lo Stato sembra finora aver fatto costantemente quadrato per proteggere i suoi uomini, più che aver cercato una (scomodissima) verità. Ma non possiamo permettercelo. Perché la credibilità delle azioni e delle decisioni - che per ogni cittadino è soltanto una scelta personale - per lo Stato è un dovere assoluto.
 
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