martedì 28 agosto 2018
Se per gli antichi era impossibile fissare un punto preciso di distanza tra cielo e terra, l'uomo biblico, che apparteneva ad essi, poteva valersi di questa incognita, segno chiaro di infinito, per esprimere l'incommensurabilità della misericordia divina. A questo proposito bisogna che sia ancora un salmista a parlarci: «Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono» (Sal 103,11). Il compositore di questa realistica e stupenda espressione ha nei confronti di Dio un rapporto di viva stima, di affetto effettivo. Egli lo tiene sempre presente come criterio delle sue scelte. Questo è il timore di Dio. Il Signore lo corrisponde con una quantità infinita di hesed, benevolenza tradotta in amore operoso. Di fatti appena dopo la constatazione dell'infinità della misericordia divina il salmista dice in che cosa concretamente ne ha il riscontro: «Quanto dista l'oriente dall'occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103, 12). Il cuore del salmista canta in questo modo perché è libero dal ricordo dei fallimenti passati e dai sensi di colpa. L'autore di questa libertà è Dio il quale impedisce qualsiasi punto di contatto tra i sentimenti appena indicati e l'interiorità del salmista, esattamente come l'oriente non entra in contatto con l'occidente. La misura della misericordia divina tuttavia non è qualcosa di intrinseco al cosmo, distanza tra cielo e terra, ma la sua memoria: «Egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (Sal 103,14).
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