giovedì 18 novembre 2021
Il termine "eutanasia", cioè "dolce morte", è stato usato già da Bacone nel 1605, intendendo le cure della persona morente, per dare un sollievo alla sua fase conclusiva della vita. Ma dalla fine dell'800 il termine comincia a essere utilizzato per indicare la morte di un malato provocata "per pietà". È il significato che si è affermato, con Paesi che hanno legalizzato tale prassi (l'Olanda già nel 2002, poi Belgio, Canada, alcuni Stati Usa e recentemente la Spagna).
Il Comitato nazionale per la Bioetica italiano definisce l'eutanasia come «l'atto con cui un medico o altra persona somministra farmaci su libera richiesta del soggetto consapevole e informato, con lo scopo di provocare intenzionalmente la morte immediata del richiedente (...) al fine di togliere la sofferenza». In effetti nel nostro Codice penale non appare il termine "eutanasia" ma si parla di «omicidio del consenziente» (articolo 579), punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Ed è questo il reato che si vuole abolire con il referendum promosso dall'Associazione Coscioni, impropriamente detto "per l'eutanasia". Significa che se si ottenesse l'abolizione di tale reato si creerebbe solo la possibilità di uccidere una persona con il suo consenso/richiesta (senza riferimenti a persone malate e a chi possa provocare la morte).
Nella Evangelium vitae si dà una definizione più ampia di eutanasia, cioè «un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore» (n.65). Quindi non si parla di eutanasia attiva o passiva, terminologia che confonde, perché in effetti l'eutanasia si può provocare per azione diretta, somministrando farmaci letali, oppure per omissione o sospensione di cure ancora utili e appropriate alla condizione del malato. La sospensione delle cure chiede attenta valutazione e discernimento medico ed etico, perché ci sono casi in cui è legittima, come la sospensione dell'accanimento terapeutico. Rimane la distinzione etica fondamentale tra causare la morte e accettare che la morte sopraggiunga.
Le spinte a legalizzare l'eutanasia sollevano molte obiezioni mediche, culturali, e legali, soprattutto a livello del ruolo personale e sociale del medico, garante delle cure e dell'impegno a salvare le vite umane, e del conflitto che potrebbe venirsi a creare tra la richiesta eutanasica e la libertà di coscienza del medico. Il Comitato per la Bioetica ricorda che un'eventuale legalizzazione dell'eutanasia porterebbe a indebolire la percezione sociale del valore della vita, alla possibilità di tragici abusi, al disimpegno pubblico nell'assistenza ai morenti, alla concreta possibilità di scivolare verso forme di eutanasia non volontaria. Nel 1997 Patrick Verspieren si chiedeva: «È possibile adottare una legislazione destinata a una categoria ristretta di malati (solo quelli che espressamente la richiedono), aprendo la porta a una scelta tra la vita e la morte che non diventi un "invito al sacrificio" per le persone indebolite fisicamente e spiritualmente che si sentono di peso per l'ambiente che le circonda e per la società?».
Cancelliere
Pontificia Accademia per la Vita
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