mercoledì 25 agosto 2010
L'incapacità della società moderna di elaborare significati condivisi è messa a tema nel breve e denso saggio di Peter L. Berger e Thomas Luckmann, Lo smarrimento dell'uomo moderno, pubblicato dal Mulino nella schietta ed elegante traduzione dal tedesco di Leonardo Allodi (pp. 136, euro 10). Certo, la secolarizzazione ha le sue responsabilità, perché la religione è stata per secoli il collante sociale in ordine ai valori; tuttavia, il fenomeno della secolarizzazione è praticamente circoscritto alla sola Europa occidentale, perché altre società, a cominciare dagli Stati Uniti, sono tuttora profondamente religiose, per non parlare delle grandi società orientali e africane. Più in generale, gli autori individuano le cause della frattura tra comunità di vita e condivisione di senso in due istituzioni centrali e irrinunciabili della società moderna: l'economia di mercato e la democrazia. Entrambe queste istituzioni «si fondano sulla scelta aggregata di molti singoli individui, e incoraggiano continue scelte e selezioni». Dalla scelta della marca del dentifricio a quella dei candidati alle elezioni, siamo continuamente indotti a scegliere fra opzioni che, in assenza di valori e significati condivisi, si presentano come equivalenti: oggi come oggi, niente più è «dato per scontato», non si agisce più in un certo modo «perché si è sempre fatto così». Bisogna sempre scegliere, e da qui viene «lo smarrimento» dell'uomo moderno che si trova continuamente di fronte a opzioni di cui difficilmente riesce a cogliere il senso: perché un lavoro piuttosto che un altro o, addirittura, perché una religione anziché un'altra, dato che tutte hanno giustamente diritto di cittadinanza? Di fronte a questo stato di cose, gli autori individuano due soluzioni, entrambe da respingere: o il ritorno «ai bei tempi antichi», quando la società era gerarchizzata in istituzioni anche censorie, con l'evidente rischio di un inaccettabile fondamentalismo; oppure l'atteggiamento «relativista» che rinuncia ad affermare valori e riserve di senso condivisi, trasferendo «il pluralismo dalla società anche all'individuo tormentato». La soluzione suggerita dagli autori riprende la proposta di «istituzioni intermediarie» elaborata da Durkheim. Tali istituzioni «consentono al singolo di trasferire i suoi valori dalla vita privata a differenti àmbiti sociali, in modo da farli diventare una forza che contribuisce a plasmare l'intera società». Sono istituzioni intermediarie le comunità e i movimenti religiosi, i partiti politici, le organizzazioni ecologiche o ambientaliste, le iniziative assistenziali o di volontariato, le associazioni di vario genere. In queste istituzioni il singolo si trova al riparo dall'«alienazione» moderna, perché in esse avviene, almeno a certi livelli, la saldatura tra comunità di vita e condivisione di senso, con proiezione al di fuori del loro specifico àmbito. Gli autori, peraltro, riconoscono che la pur articolata e pluralista società moderna fa tuttavia riferimento, almeno implicitamente, a valori sovraordinati: «Anche quanti agiscono in modo "immorale" faranno di norma riferimento alla morale prevalente, cercando scappatoie normative e giustificazioni (l'ipocrisia è l'omaggio del vizio alla virtù)». Spunto molto interessante, anzi, decisivo, che si richiamerebbe a quella «grammatica iscritta nel cuore dell'uomo» (per dirla con Giovanni Paolo II), che va sotto il nome di legge naturale (esplicitata dai dieci comandamenti), che dovrebbe costituire l'ineliminabile base di valori condivisi a sostegno di un autentico pluralismo democratico. Ma Berger e Luckmann sono sociologi, quindi si affidano alla statistica, non alla psicologia, alla filosofia e, ancor meno, alla teologia.
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