venerdì 9 maggio 2014
Di recente Ginevra Bompiani, narratrice e saggista che dirige le
edizioni Nottetempo, ha raccontato in un aureo libretto, L’ultima apparizione di José Bergamín, la figura di un grande intellettuale cattolico
spagnolo. È un ritratto affettuoso e acuto che mi ha fatto tornare alla mente
un saggio di quel maestro dell’aforisma, Decadenza dell’analfabetismo. Siamo davvero convinti che un analfabeta sia meno intelligente
di un alfabetizzato? Ho conosciuto anch’io Bergamín, ma non è di lui che voglio
parlare, ma della condizione degli alfabetizzati, anzi dei laureati, nel nostro
Paese. Giovanni Silemme ha scritto un saggio molto documentato sul «costo dell’ignoranza
in Italia», Senza sapere (Laterza), pieno di dati sulla decadenza del
livello dell’istruzione che tiene conto, contrariamente ad altri, anche della qualità
dell’istruzione e si chiede dunque se «convenga ancora andare a scuola». Che
tipo d’istruzione ricavano dalla scuola e in particolare dall’università i
nostri giovani laureati? Non è troppo spesso qualcosa di bizantinescamente superfluo?
Serve davvero a trovare un lavoro? Rende gli individui più coscienti dei loro
doveri e dei loro diritti e più disposti a ragionare sui problemi di tutti e a
cercarne soluzioni? L’italiano “normale” non vota per discernimento, constata Silemme,
ma per suggestione. I figli dei ricchi non studiano in Italia e l’uguaglianza
delle opportunità che la nostra Costituzione reclama è una illusione. Eccetera.
Siamo messi male, in rapporto a molti altri Paesi, ma Silemme, e tanti con lui,
sembra ancora fidare in qualche buongoverno futuro che ristabilisca regole di
parità e di civiltà, e proponga un sistema di istruzione qualitativamente
adeguato a un’idea di democrazia che a me pare sconfitta da tempo. Il potere è
nelle mani di pochi, e questi pochi non amano né la democrazia né l’educazione,
amano solo i propri privilegi (e quelli dei loro figli) e pensano solo ai modi
per conservarli, anzi per accrescerli. Molti anni fa Eduardo De Filippo si rivolse
ai giovani napoletani gridando loro «Fuitevenne!», andatevene da questa città,
da questo Paese! È quello che tanti giovani oggi fanno, né onestamente si può
dar loro torto.
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