martedì 1 novembre 2022
Il capitalismo di sorveglianza ha i funzionari di terreno che agiscono nel tempo e nello spazio. Il tempo dà loro apparente ragione perché la “normalizzazione” o la “banalizzazione” del controllo sembra in Africa un fatto acquisito, accettato e talvolta richiesto. Pochi si stupiscono ancora dell’esproprio del diritto alla mobilità operato con fermezza in questi ultimi anni. Le frontiere, tutt’altro che immateriali, sono appunto uno degli spazi nei quali il controllo si esprime con maggiore coerenza. L’evidenza che le frontiere dell’Europa tocchino il Nord del continente, coi Paesi del Maghreb, e giungano fino al Sahel non scandalizza nessuno. La banalizzazione della normalità e, dunque, la neocolonizzazione dell’immaginario sociale rasenta l’evidenza. I campi di detenzione per i migranti e rifugiati in Libia, i fili spinati delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco, le deportazioni degli indesiderati in Algeria e le “dissuasioni” volontarie degli “esodanti” nel Sahel sono una necessaria condizione perché il mondo continui a funzionare come deciso dai potenti di turno. La resistenza a questa operazione di controllo globale passa attraverso il fenomeno, anch’esso assodato, dei “disertori”. Spesso dipinti in modo negativo e criminalizzati, i disertori sono coloro che, per scelta o per necessità, scelgono di slegarsi da un destino che sembra condannarli a “collaborare” con il sistema in due modi. Il primo si compie scomparendo nel silenzio, come inutile zavorra da buttare durante la tempesta. Il secondo modo, invece, si realizza aderendo e ringraziando per il posto subalterno che il sistema ha loro affidato per perpetuarsi. La figura del migrante, che nel suo stesso corpo e nel suo spirito porta la propria frontiera, esprime, come in uno specchio, la responsabilità della diserzione. Scegliendo di partire per un altrove contesta il tempo, lo spazio e i confini del “disordine” stabilito. Non per caso il sistema, anche tramite l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, cerca di convincere i migranti che la migrazione e un errore. L’Agenzia Frontex (Frontiere esterne d’Europa) rende mobili le frontiere e la missione di Eucap-Sahel “educa” il Sud a come gestirle e interpretarle. Tutto cospira a rendere le migrazioni «sicure, ordinate e regolari». Naturalmente gli
attributi appena citati delle buone migrazioni si riferiscono precipuamente ai Paesi di approdo dei migranti. Difficile credere siano possibili migrazioni sicure, ordinate e regolari quando si contribuisce a creare un mondo insicuro, disordinato e irregolare per la maggior parte degli abitanti del pianeta. La dislocazione della politica, dell’economia e soprattutto la “strategia del disordine” interessato, nel Sahel e altrove, non lascia spazio a nulla che sia ordinato, regolare e soprattutto sicuro. Ecco perché, in questa particolare zona dell’Africa chiamata Sahel, nome che significa Riva o Sponda, ci vantiamo di fabbricare gli unici sovversivi che meritino questo nome. Si scrive migranti e si legge “sovversivi” poiché nelle loro borse si nasconde, impolverato, un mondo nuovo. Niamey 30 ottobre 2022 © riproduzione riservata
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