domenica 16 marzo 2014
Nella campagna abortista contro l’obiezione di coscienza è entrato a gamba tesa anche Carlo Flamigni. Sull’Unità scrive (domenica 9) che in alcune regioni «come l’Emilia e la Toscana l’obiezione è diventata un vero e proprio “complotto” contro la legge sin troppo generosa con i medici inetti e disonesti» (ma come si permette?); che gli sembra «assurdo configurare un diritto alla disobbedienza» come «legalizzazione di una pretesa alla inosservanza delle leggi» e «criminalizzazione di una norma giuridica». «Nel caso della legge 194 – scrive ancora – sono in gioco una serie di valori che riguardano il rispetto e la tutela dell’esistenza e delle libertà fondamentali dei cittadini» e, dunque, «l’obiezione di coscienza potrebbe essere lesiva di questi valori […] riconosciuti dalla Costituzione». La quale, però, non parla di aborto, anzi stabilisce che «la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» e «il pieno sviluppo della persona» (art. 3), «protegge la maternità» (art. 31) e vieta alla legge di «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (art. 32). Che cosa sono i 5.437.553 bambini abortiti finora con la legge 194? Eroi ed eroine caduti per la difesa delle false «libertà fondamentali» delle cittadine? Nel solo anno 2012 gli aborti legali sono stati, secondo i calcoli ufficiali, quasi 106mila, ma Flamigni scrive che «di aborto clandestino muoiono più di centomila donne ogni anno». Allora gli aborti del 2012 sono non 106mila, ma più di 206mila tra legali e clandestini e la legge 194 a niente serve. Oppure si torna a usare i numeri come negli anni Settanta, prima della legge, quando i giornali parlavano di tre milioni di aborti l’anno (undici nella vita di ogni donna in età fertile, anche se sterile) e di 600mila donne morte di clandestinità ogni anno (1.643 ogni giorno) per impressionare Parlamento ed elettori? Il prof. Flamigni chiarisca e documenti i suoi numeri, perché la legge 194 è frutto anche di quegli imbrogli. L’obiezione di coscienza, orgoglio della democrazia e strumento di libertà, rischia di essere abortita anch’essa con analoghi vecchi sistemi. LE APPRENDISTE DEI PARIOLI «La prostituzione e lo sfruttamento sessuale […] sono una violazione della dignità umana e della parità di genere e una forma di violenza, e perpetuano l’idea che i corpi di donne e ragazze siano in vendita». Così aveva giustamente scritto la deputata europea Silvia Costa su l’Unità (28 febbraio) concordando con la «crociata» iniziata in questi giorni a Strasburgo contro la prostituzione. Invece secondo Maria Spilabotte, deputata italiana del Pd, che sul medesimo quotidiano illustra (11 marzo) una sua proposta di legge, bisogna distinguere: lo Stato non deve compiere «intrusioni paternalistiche e autoritarie in questioni che attengono alla sfera privata»”, ma dovrebbe rilasciare un «patentino» che autorizzi la libera professione di prostituta con regolare partita Iva, pagamento dell’Irpef, iscrizione alla Camera di Commercio, accesso alla pensione e, naturalmente, possesso dei relativi diritti. Anche questi «civili». E poiché – scrive – in Italia tra donne e uomini «si parla di 70mila prostitute/i con un giro di 9 milioni di clienti (128 a testa),non si tratta di questione attinente alla “dignità della donna”, ma di un fenomeno» di «sex working» (lavoro sessuale). Insomma, le ragazze dei Parioli (uno dei quartieri più “bene” di Roma) vanno considerate apprendiste, la cui unica colpa è la mancata iscrizione all’albo professionale. Particolare significativo: la proposta Spilabotte ha le firme di altre sette deputate. Tra queste Monica Cirinnà (Pd), che è stata direttrice, in Campidoglio, dell’Ufficio Diritti degli Animali. Le donne non sono animali da mercato.
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