giovedì 4 ottobre 2018
«Chi è amato non sceglie l'eutanasia» (“Giornale”, 2/10, p. 15). Qui stesso giorno (p. 17) il monito del Papa contro «l'autoreferenzialità» di chi nella Chiesa vuole imporre un suo proprio modello sostituendosi a Dio stesso. Annoto che nell'incipit dell'articolo l'oggetto del monito è duplice: « ...gli abusi e l'ombra della eutanasia». Accostamento singolare? Sì, forse sorprendente, ma profondo. Negli abusi sessuali, che si tratti o meno di pedofilia, uomini di Chiesa usano la propria collocazione superiore per imporsi alle vittime come sostituendosi a Dio stesso. Pensarsi – o peggio sentirsi senza neppure accorgersene – “rivestiti di Dio” per proporre il proprio disordine apre l'abisso alla violazione dell'altro. Vero il rischio di un'educazione del prete come “vice Dio”. Ricordo antico: «Quando fischio io, fischia Dio!» Così tanti anni orsono un prete per altro buono e stimabile imponeva ai ragazzi il suo giudizio di arbitro insindacabile durante una partita di calcio. Frutto di chi insegnava che il prete non è un uomo, ma dev'essere “un Superuomo”! E chissà se questo pensiero in tutti è del tutto passato! Vale per gli abusi. Ma Francesco, stesso incipit, mette anche «l'ombra della eutanasia». C'è qualche analogia tra le due piaghe? Certo, ed è proprio nella autoreferenzialità che vuole sostituirsi a Dio. Attribuirsi il diritto, addirittura il dovere di decidere della vita altrui nei fatti è sostituirsi a Dio, autore e donatore della vita. Perciò Francesco raccomanda «la cura ...l'accompagnamento sereno e partecipativo ...se la persona si sente amata, rispettata, accettata, l'ombra negativa della eutanasia scompare», e ai «professionisti della salute» il Papa raccomanda di essere «ministri della vita», così che per il malato terminale «il valore del suo essere si misura in base alla sua capacità di dare e ricevere amore, e non in base alla sua produttività».
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