venerdì 15 febbraio 2013
Èuna questione di stile. Il turno di Champions ha messo in evidenza due grandi protagonisti, Conte e Mourinho, all'occasione divisi non solo dal tratto personale ma dal risultato del campo: sonora, spettacolare vittoria nel mitico Park del Celtic per Antonio, stentato e rischioso pareggio con il Manchester di Ferguson al Bernabeu per Josè. Antonio Conte ha resuscitato lo Stile Juventus perduto ai tempi di Calciopoli, riportando in auge atmosfere bonipertiane: la sua è la Juventus nazionalpopolare, una felice sintesi di Madama e Goeba, l'unica compagnia di spettacolo che nel mondo televisivo può tener testa al Festival di Sanremo, spingendo anche Radiorai a realizzare una programma che abbracciasse i due eventi all'insegna di Canzoni & Campioni. Come i vecchi maestri Trapattoni e Lippi, Conte ha ricreato l'Unità Juventina messa in crisi da scelte affrettate, se pur tecnicamente valide, dopo l'ingeneroso allontanamento di Didier Deschamps. Antonio ha indossato dal '91 al 2004 la maglia bianconera sulla quale ha potuto cucire cinque scudetti, collezionando anche vittorie in tutte le Coppe internazionali, eppur mantenendo quello spirito che precisa la juventinità: forte personalità ma anche capacità di tenere un basso profilo là dove conta solo un nome, Agnelli. Una sola volta ha alzato il tiro (e la voce) per difendersi dall'accusa del calcioscommesse ma certo aveva ricevuto licenza dal giovane presidente che, rispetto allo zio e al padre, ama la contestazione “in diretta”. È invece costantemente in agitazione sulla panchina, sanamente turbolento come un maestro di musica, in dialogo costante con i giocatori che lo adorano. O inutilmente lo detestano, com'è successo - tanto per dire - a Martinez, Krasic, Elia e Lucio, scaricati senza pietà mostrando anche la capacità di affrancarsi da un aziendalismo beota: piuttosto che avallare acquisti di bidoni, s'accontenta di campagne acquisti “moderate” e di farsi i Top Players in casa. Tutto il contrario, ma certo ricco di una personalità stellare, Josè Mourinho, che non potrebbe mai diventare tecnico della Juve per gli stessi motivi che indussero Boniperti a rinunciare a Maradona e a scegliere Platini. E possiede invece - quasi naturalmente - lo Stile Inter, che predilige personalità forti, audaci, polemiche e dotate di scaltrezza al limite dell'italica furberia. Prototipo, Helenio Herrera, che fu Mago così come Josè è lo Special One che ha chiesto e ottenuto da Massimo Moratti - regalandogli uno storico Triplete - acquisti costosi e impegnativi infilandoci anche un “bidone” da venti euromilioni come Quaresma, mentre le pretese di Helenio, pur generosamente accontentato da Angelo Moratti, erano sapientemente filtrate dall'abile Italo Allodi. Al Real ha chiesto e ottenuto investimenti da centocinquanta milioni, finendo largamente alle spalle del Barcellona nella Liga e rischiando l'uscita dalla Champions salvo miracolo all'Old Trafford. Come Herrera, Mourinho è uno straordinario catenacciaro - e l'ho sottolineato fin dal suo esordio interista - naturalmente capace di aggiornare, proprio come fece il Mago, il tanto deprecato “calcio all'italiana”. È per questo che Madrid non l'ha apprezzato, nonostante abbia vinto un campionato, proprio come successe al bicampione Fabio Capello. È per questo che, molto probabilmente, a fine stagione lo Specialone sarà un altro: magari proprio Antonio Conte.
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