martedì 9 febbraio 2021
Avanti piano, quasi pianissimo, ma avanti. La lenta marcia verso la Conferenza sul futuro dell'Europa, che dovrebbe aprire la via a un rilancio dell'Unione "dal basso", ha tagliato la scorsa settimana un nuovo traguardo intermedio verso il difficile approdo finale. Gli "sherpa" del Consiglio dei 27 capi di stato e di governo hanno raggiunto l'accordo su un documento che prevede l'inizio formale dei lavori il 9 maggio prossimo, giorno in cui la Ue si festeggia, ricordando la "Dichiarazione Schuman" del 1950 che aprì la strada al processo di integrazione.
L'idea della "grande consultazione" dei cittadini europei sul loro domani comune, lanciata ormai due anni fa dal presidente francese Macron e accettata dopo qualche incertezza da tutti i Paesi membri a dicembre 2019, ha avuto e continua ad avere una gestazione difficile e contrastata. Prima per il prolungarsi della trattativa con la Gran Bretagna sull'attuazione della Brexit e poi, dalla primavera dell'anno scorso, per l'irruzione nel Continente della funesta pandemia da Covid 19. Un evento che continua a condizionare pesantemente la previsione di un'effettiva partenza.
Anche senza il virus, la strada per giungere a celebrare la Conferenza non sarebbe comunque agevole. Delle tre principali istituzioni di Bruxelles, il Parlamento è da sempre il soggetto più favorevole, la Commissione sostiene abbastanza convintamente, anche grazie all'"endorsement" personale della sua presidente, mentre il Consiglio si muove con la cautela di chi deve più direttamente rispondere ai propri elettori meno euroentusiasti.
Si spiega anche così l'articolazione prudente del testo predisposto dal vertice dei 27, in particolare riguardo a come pilotare i lavori. Il documento propone infatti di affidare la guida della Conferenza a una presidenza congiunta dei numeri uno di Eurocamera, Commissione e Consiglio (attualmente sarebbero l'italiano Sassoli, la tedesca von der Leyen e il belga Michel). La soluzione preferita dai parlamentari di Strasburgo prevedeva invece una presidenza "unica e indipendente", da assegnare a una personalità eminente: il nome suggerito in partenza era quello di Guy Verhofstadt, considerato però un po' troppo "federalista" da diverse cancellerie e di fatto già accantonato.
Bisognerà dunque vedere se il Parlamento è disposto ad accettare questa diversa formulazione. Anche perché i tre organismi adesso dovranno firmare tutti insieme una solenne "dichiarazione congiunta", per dare l'ultima luce verde alla Conferenza. In caso di ulteriori dissensi, la data del 9 maggio è destinata a trascorrere ancora invano. Ragion per cui gli inquilini più smaliziati di "Palazzo Europa" confidano in un'accettazione, in base al vecchio principio secondo cui il meglio è nemico del bene.
Proprio l'incognita sull'infuriare della Sars-CoV-2 e sulle sue ulteriori conseguenze dovrebbe tuttavia spronare le istituzioni europee a una profonda riflessione sul futuro comunitario. Da settimane la polemica attorno ai vaccini, al loro acquisto e ai rapporti con le grandi società produttrici sta avvelenando il clima tra Bruxelles e le capitali sorelle. Aldilà delle possibili carenze di guida da parte di "fraulein Ursula" e del suo esecutivo, appare evidente un limite strutturale dell'Unione, di fronte a emergenze gravi come quella che tutti stiamo vivendo.
E' chiaro che, di per sé, anche un profondo "bagno di democrazia", come quello implicito nell'ampia consultazione popolare prevista dalla Conferenza, non basterà a disegnare soluzioni concrete. Ma sentire direttamente il polso dei cittadini aiuterà a rendersi conto da vicino di che cosa si aspettano, potrà far capire meglio quali vantaggi sperano dall'essere cittadini Ue. Senza un vero supplemento d'anima non ci sarà mai una Europa più attraente e credibile.
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