venerdì 17 ottobre 2008
Le statistiche - non solo nel calcio - hanno spesso modesta sostanza, nutrono la curiosità, l'aneddotica. E basta. Ma quando da mercoledì sera, grazie al 2-1 di Italia-Montenegro, si celebra il 30° risultato utile consecutivo di Marcello Lippi come ct azzurro che eguaglia il record di Vittorio Pozzo, si esibisce anche sostanza. Si esalta, ad esempio, la tradizione utilitaristica del calcio italiano, capace di mostrare bel gioco ma soprattutto di cogliere con grande attenzione tattica importanti vittorie. Pozzo ha vinto due Mondiali ('34 e '38) e la medaglia d'oro all'Olimpiade di Berlino ('36), Lippi un Mondiale nel 2006 e sogna il bis nel 2010 (Bearzot '82 meriterebbe un discorso a parte per avere mostrato la Nazionale più bella). Ma la celebrazione statistica vale soprattutto per recuperare la memoria di un grande italiano, Vittorio Pozzo, ingiustamente ignorato dai più anche per una deplorevole tendenza a buttare in politica anche il gioco del pallone: le vittorie della sua Italia appartengono alla ventennale stagione fascista e spesso vengono diffamate, segnalate come conquiste del regime. Basterebbe ricordare che nel '38, in Francia, furono proprio gli intransigenti cugini d'Oltralpe, prima schierati contro l'Italia di Pozzo proprio per ragioni politiche, a decretare il suo trionfo, a Parigi, quando vinse il titolo, arrivando a coniare il termine "azzurri" rimasto nel loro dizionario. Ma lasciatemi dire di Pozzo, il tecnico, l'uomo, il giornalista; il forte alpino e l'allievo salesiano (come me). L'età mi ha impedito di vederlo all'opera come commissario tecnico, ma mi ha consentito di leggere le sue inappuntabili note sulla "Stampa" di Torino e di godere della sua benevolenza. Non potrei mai dire "dell'amicizia": troppi gli anni che ci separavano eppoi "il commendatore" plurivittorioso era burbero, poco concedeva alla confidenza, in sostanza aveva un caratteraccio: durante gli anni trascorsi nella redazione della "Stampa" non rivolse per lungo tempo la parola al grande Ilo Bianchi, col quale dialogava a distanza e attraverso bigliettini smistati da Paolino Bertoldi. Eppure, avendolo spesso... in consegna perchè lo accompagnassi, ormai ottuagenario, allo stadio di Bologna soprattutto quando vi giocava la Juve, ho avuto modo di far tesoro delle sue lezioni di umanità e di tecnica, ma soprattutto di rivivere in diretta la sua storia. Una fortuna personale e professionale. Come quella di avere un rapporto ancor più amichevole con Enzo Ferrari, l'altro Grande Vecchio dello sport mondiale. Pozzo e Ferrari, due Vecchi Fusti d'Italia, secondo la felice definizione di Leo Longanesi. Da anni cerco Nuovi Fusti. Verrà il giorno di tirar le somme e di fare nomi. E allora ne riparleremo.
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