mercoledì 20 dicembre 2017
La prima citazione nella nota 1 di L'"io diviso" di Carlo Di Lieto (Marsilio, Venezia 2017, pp. 440, euro 35) è per Letteratura e psicanalisi, di Michel David, ed è giusto così perché fu proprio quel testo, nel 1967, ad aprire studi e dibattiti sull'argomento del libro di Carlo Di Leto, sottotitolato "La letteratura e il piacere dell'analisi". Cinquant'anni dopo, il canadese Michel David (1944-2010) evidentemente è considerato un classico, e Di Lieto lo cita quattordici volte. Fu lo stesso Freud a "psicanalizzare" l'arte e, in particolare, la letteratura come testimoniano gli scritti su Leonardo, Michelangelo, Dostoevskij, Edgar Allan Poe, e mi piace ricordare anche il saggio Il delirio e i sogni nella "Gradiva" di Wilhelm Jensen (1906) da cui Giorgio Albertazzi, regista e interprete, attinse nel 1970 per un bellissimo film televisivo, protagonista Laura Antonelli, che ebbi modo di vedere "in bassa risoluzione" (come allora si diceva) come critico televisivo di "Avvenire", e che la Rai non mandò in onda forse perché troppo intelligente. Di Lieto sottopone ad analisi - avendo in Pirandello il suo Virgilio -, Cervantes e Dostoevskij, Stevenson, Proust, Kafka, Tasso, Baudelaire, Flaubert, Goncarov, Tozzi, Woolf, Joyce, troppi autori, tutti importanti, per poterne riferire qui. Mi limiterò a un paio di casi.
Per il tramonto africano di Rimbaud, Di Lieto si avvale soprattutto del lavoro di Sandro Tirini, Je suis ici… (Genesi 2015, peraltro prefato da Di Lieto stesso), e indulge a qualche luogo comune come «la figura materna dà il colpo di grazia a una mente dissociata [di Rimbaud]». In realtà la madre del poeta è una figura delle più calunniate dai critici: autoritaria lo era certamente, ma con molte attenuanti. Vitalie Cuif, abbandonata dal marito, allevò con la massima cura i quattro figli, fra i quali il genio Arthur che fu sempre il suo preferito. Quando Verlaine minacciò di suicidarsi, racconta Claude Jeancolas (un'autorità fra i rimbaldologi), Vitalie gli scrisse una lettera commovente e terribilmente umana: «Siate forte e coraggioso, lottate, lottate…». E quando da Londra Arthur, dopo l'affaire con Verlaine, gridò aiuto, la madre lo raggiunse immediatamente con la figlia Vitalie, lei che non aveva mai varcato i confini delle Ardenne. Del resto, tutta la corrispondenza africana di Rimbaud (che l'editore Aragno ha tradotto per gli italofoni in due grossi volumi, a cura di Vito Sorbello, nel 2014) è diretta prevalentemente a lei.
Il telegramma d'aiuto che il poeta, con la gamba in cancrena, invia da Marsiglia alla madre il 22 maggio 1891, riceve risposta lo stesso giorno: «Parto, arriverò domani. Coraggio e pazienza». La madre restò due settimane accanto al figlio, poi lo accolse convalescente a Roche per qualche settimana a fine luglio. Il poeta volle ritornare a Marsiglia a fine agosto, e il 10 novembre morì. Certo, gestire un personaggio come Rimbaud non doveva essere facile neppure per sua madre che, probabilmente, avrà fatto tutto quel che poteva e riusciva, comprese le spese per la pubblicazione della Saison en enfer. In tanti, non ultimo Carlo Di Lieto, hanno cercato di interpretare freudianamente i traumi di Rimbaud, compreso il discusso stupro durante la Comune di Parigi: ma siamo sempre alla lapidaria ammissione di Verlaine che, nel 1895, così scriveva dell'amico: «È il più complicato degli esseri umani che mi è accaduto d'incontrare».
Alessandro Manzoni offre un ricchissimo materiale di studio per gli psicanalisti, e Di Lieto raccoglie testimonianze ottocentesche e di studiosi contemporanei. A suo avviso, Manzoni sente attrazione e ripulsa per Gertrude, e don Abbondio potrebbe essere un suo doppio; fondamentali le figure di donna Prassede e di don Ferrante, emblemi della fuga da sé, rispettivamente, nelle "opere di bene" e nella cultura. L'analisi più convincente della biografia di Manzoni riflessa nel romanzo è però stata compiuta da Aldo Spranzi (Alla scoperta dei "Promessi sposi", 2011), che evidentemente Di Lieto non conosce e comunque non cita.
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