venerdì 6 febbraio 2015
Come per incantesimo, una stagione di incredula immobilità succede all'abbandono. Ogni segmento del paesaggio s'accomoda nell'avvenuta riconsegna e si prepara al prorompere del selvatico come ci si prepara alla battaglia. Sono i rovi nei campi a decretare l'inizio delle ostilità, rinserrano in ranghi compatti e non si passa. L'acqua piovana dilaga scanalando con forza tanto distruttiva quanto rimodellante e un nuovo ordine subentra. Compaiono sparse avanguardie di nuovi coloni poi con le prime cucciolate prendono possesso del territorio. Nuovi suoni nell'aria, nuovi segni per terra decretano il ripopolamento in atto. Cinghiali, caprioli, cervi, tassi, istrici, volpi, lupi; cornacchie, gazze, falchi, aquile. Il selvatico avanza e mette in difficoltà il domestico, quel poco che permane. Residuali di coltura e pastorizia sono ora perdenti e faticano a farsene ragione. Il punto di equilibrio è saltato e nessuno sa dove riposizionarlo.Una civiltà finisce quando perde la propria ragion d'essere, sono le virtù su cui si fondava che andrebbero riscoperte e portate a nuova vita. La fede come consapevolezza di non essere qui per caso. La speranza, data dal mistero in cui siamo immersi, di cui ogni vita è prova inconfutabile. La carità, determinata dal non essere soli, non poterlo essere.
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