giovedì 11 maggio 2017
Ci risiamo. Non vi è tregua al susseguirsi delle polemiche che, almeno ogni settimana, nascono a causa di dichiarazioni di magistrati, prevalentemente (anche se non esclusivamente) appartenenti alla magistratura requirente, cioè all'ufficio del pm. Polemiche che originano non tanto da quel che i magistrati fanno, quanto piuttosto da quel che dicono, dalle chiacchierate con operatori della comunicazione a proposito di inchieste proprie o altrui, di questo o quel collega, di questo o quel personaggio o tema della vita pubblica. I francesi parlerebbero di bavardages, per connotare una comunicazione impropria, inopportuna, vacua. Il contrario di quanto i cittadini si aspettano dai magistrati, cioè sobrietà, equilibrio, senso della misura.
Senza dimenticare che, per i magistrati delle procure, costituisce illecito disciplinare (art. 5 d.lgs. n.109 del 2006) rilasciare dichiarazioni o fornire notizie circa l'attività giudiziaria dell'ufficio agli organi di informazione, i rapporti con questi ultimi essendo riservati al solo procuratore della Repubblica, personalmente o tramite un magistrato delegato. A proposito di illeciti disciplinari, è noto che, mentre l'iniziativa dell'azione disciplinare del ministro della Giustizia è facoltativa e che egli, e il Governo di cui fa parte, ne rispondono politicamente alle Camere, quella che proviene dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione è per contro, ai sensi dell'art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 109 del 2006, obbligatoria, e si pone in voluto parallelismo con l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero a norma dell'art. 112 Cost. Ne segue che, salvo i casi in cui il Pg della Cassazione può chiedere l'archiviazione diretta (fatti inesistenti, di scarsa rilevanza, non addebitabili all'incolpato o non previsti come illecito), questi non ha discrezionalità nel promuovere l'azione disciplinare.
Potrebbe essere utile tenerlo presente. Potrebbe essere utile rammentare che la norma costituzionale volta a consentire limitazioni all'iscrizione a partiti politici per i magistrati e, più in generale, per quei dipendenti pubblici (forze dell'ordine, diplomatici) cui si chiede non solo di essere imparziali e indipendenti, ma altresì di apparire tali, impone, se non di separare (perché i cittadini, in democrazia, sono chiamati tutti a parteciparvi), almeno di tenere distanti i magistrati dal dibattito politico. Ne trarrà giovamento la loro indipendenza, reale e percepita. Al Csm, grazie anche alla sua composizione mista e plurale, spetta il compito di assicurare, con serenità e fuori da ogni preoccupazione di parte, il bilanciamento dell'una e dell'altra esigenza.
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