sabato 4 luglio 2009
Una bella piscina olimpionica sotto i pini marittimi che si lasciano sfuggire quei loro aghi sottili legati in coppia che volteggiando nell'aria sembra cerchino il posto migliore per riposare. C'era un grande silenzio a quell'ora del mattino quando il sole, superato il danzare degli alberi nel vento, era riuscito a scendere nell'acqua azzurra e darle colore. D'improvviso arrivano i bambini già esperti nel nuoto, pronti con chiacchiere e grida a gettarsi nella loro piscina. Hanno dai sei ai dieci anni e sono qui per passare la giornata tra sport, lavori di gruppo, giochi e soprattutto per essere occupati dopo la fine della scuola e lasciare i genitori liberi di lavorare.
«Avevamo preparato per loro un progetto, ma abbiamo dovuto arretrare di quasi tre anni dal nostro programma perché non sono preparati a comunicare gli uni con gli altri. Sono bambini abituati alla solitudine. Essi passano la maggior parte del proprio tempo libero con la compagnia della playstation o della televisione e imparano a vivere in un mondo creato dalla fantasia di un altro. Un mondo irreale, inesistente che non li prepara ad affrontare la collettività, al confronto, al dispendio personale delle proprie capacità». Queste le parole dette con un velo di angoscia da una loro insegnante.
È una nuova generazione che non sappiamo ancora quale senso darà alla vita fra qualche anno. Da una parte c'è chi colpevolizza le mamme che preferiscono lavorare fuori casa piuttosto che passare più tempo con i propri figli. È certo una verità, ma bisogna guardare alla maggior parte delle famiglie dove non si vive se non entrano in casa almeno due stipendi. Allora come cercare una soluzione? Come andare incontro a queste giovani madri che hanno voluto dare una nuova vita al mondo e che ora trovano sulle proprio spalle il peso di due lavori che non hanno fine se non con le ore del sonno la notte? È facile criticare, molto meno trovare soluzioni. Esse hanno bisogno di un maggior impegno delle istituzioni per alleviare parte della loro fatica e poi forse la ricerca, nella famiglia, di rendere meno necessaria qualche spesa in più in modo da poter limitare l'impegno esterno solo al necessario.
È facile parlare così quando non ci si trova personalmente in tali situazioni, quando si ricorda che lo scorrere delle giornate poteva avere anche una sua maggiore serenità e il guadagno della donna era dato dal suo lavoro in famiglia, dall'attenzione al risparmio, dalla rinuncia, anche nascosta, ai propri desideri personali. C'era però una grande ingiustizia nei confronti del mondo femminile perché allora le donne studiavano come i loro compagni, ma senza la prospettiva di una carriera, senza la scoperta delle proprie capacità.
Oggi fare le madri comporta un impegno e una fatica ben maggiori di quelle di cinquant'anni fa. Ed è più che necessario, anzi doveroso che i padri sappiano prima di decidere un futuro da dividere in due, che anche per loro dovrà esistere un secondo lavoro, quello chiamato semplicemente «di casa», che se condiviso può essere piacevole, ragione di maggiore intesa e soprattutto meno abbandono dei propri figli nelle braccia sempre affidabili delle playstation e delle lunghe ore consumate davanti alla televisione.
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