mercoledì 22 luglio 2015
Masolino d'Amico, grande anglista, giornalista e traduttore, ha trovato un modo brillante per raccontare al pubblico italiano la vita di personaggi inglesi, e ci sta prendendo gusto. Ha cominciato nel 2013 con Il giardiniere inglese, medaglione di Lancelot Brown, il settecentesco inventore dei giardini "all'inglese"; l'anno scorso è toccato a Thomas Cooke, fondatore della prima agenzia di viaggi (Il viaggiatore inglese), ed eccolo di nuovo con una personalità più nota delle due precedenti, Florence Nightingale (L'infermiera inglese, Skira 2015, pp. 96, euro 13).Nei tre libri troviamo sempre DeWitt Henry III, giovanottone americano un po' impacciato, aspirante sceneggiatore che cerca documentazione su eventuali protagonisti di biografie cinematografiche o televisive. Questa volta le informazioni gliele fornisce la fidanzata Saffron, da un ospedale svizzero dove è ricoverata per una lussazione alla caviglia che ha compromesso la loro vacanza sciistica prenatalizia (peraltro, non c'è neve). Saffron è una secchiona che ha letto quasi tutto su Florence Nightingale, e oltretutto è figlia del probabile produttore; nella temporanea immobilità in cui si trova, si è offerta di raccontare al fidanzato il risultato delle sue ricerche per facilitargli la stesura delle quattro paginette che egli dovrà presentare all'eventuale futuro suocero. Il ragazzo ascolta col registratore acceso, rimpiangendo di non essere sugli sci.Il procedimento molto cinematografico di d'Amico dà vivacità al racconto attualizzandolo e movimentandolo, e il ruolo del fidanzato è, per andare sul classico, quello di Bosone che un po' capisce e un po' non capisce le argomentazioni di sant'Anselmo nel Cur Deus homo. Jorge Luis Borges, del resto, era maestro nel raccontare una storia come se qualcun altro gliela stesse raccontando.Certo che Florence Nightingale (1820-1910) era davvero un tipo tosto, e benché il suo cognome la designasse come "usignolo", ben diverse melodie uscivano dalla sua bocca. Di famiglia aristocratica, Florence scoprì ben presto la sua vocazione filantropica e, contro il parere dei genitori e della sorella, volle acquisire competenze da infermiera esercitandosi dapprima in ospedali inglesi e trovando poi la grande occasione nella guerra di Crimea, fino a venir nominata sovrintendente degli ospedali inglesi in Turchia.Sia pure a grandi tratti e senza compiacenze descrittive veniamo a sapere le condizioni inumane dei soldati feriti e malati in quella guerra (1853-1856), il disprezzo degli ufficiali nei confronti della truppa formata soprattutto da disoccupati, galeotti e bifolchi, le carenze igieniche e morali di quella povera gente spedita laggiù letteralmente come carne da cannone. L'indomita Florence dovette lottare non solo per l'emergenza continua in cui si trovava, ma soprattutto contro l'ottusità delle gerarchie militari, e in particolare del dottor Hall, capo dei servizi medici britannici della guerra di Crimea, che la odiava. Ma alla fine la vittoria fu sua, i soldati, per i quali aveva anche istituito delle scuole e delle sale di lettura per sottrarli all'alcol e alla prostituzione, la veneravano e quando tornò in patria, fu accolta trionfalmente, anche se rifuggì da qualunque manifestazione pubblica.Per tutta la vita, anche negli ultimi decenni quando, malatissima, non poteva uscire di casa, continuò a occuparsi delle riforme ospedaliere dell'esercito, potendo contare sulla collaborazione di altolocati amici di famiglia, e soprattutto del Primo ministro Lord Palmerston. La regina Vittoria e il principe Alberto l'avevano in grande considerazione, e divenne consulente anche di governi stranieri (perfino durante la Guerra di secessione americana). Le riforme di Florence, che non si sposò ed ebbe simpatie per il cattolicesimo, rimasero in vigore nell'esercito britannico fino alla seconda Guerra mondiale. Applausi.
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