venerdì 5 ottobre 2012
«Pensa al larice / cresciuto lungo il cielo del giardino…» È l'apertura di una delle Poesie sperse di Livia Candiani, che ha il nome buddista di Chandra, in sanscrito Luna. Chandra è una donna minuta e una bambina saggia che convivono nella stessa persona. Nei suoi versi, dove aldiqua e aldilà sembrano sfiorarsi, dolore e gioia si mescolano in un incanto malinconico, bizzarro, colmo di vita. Il larice cresciuto nel giardino sa ormai solo declinare l'invito della terra al moto. Ogni giorno si svia un po', smemorato, e «incrocia la retta argentea delle pupille / lungo la faccia spiegazzata dei trent'anni». Non rispecchiano anche noi queste immagini? Noi, chiusi dentro i nostri confini che pretendiamo quieti, ma sappiamo essere un inganno, incapaci di muoverci, con la nostra faccia sempre più invasa di pieghe. Poco distante dal larice c'è però un faggio: «lo sai che i faggi hanno le radici collettive, tutte insieme, e se uno soffre / soffrono tutti?» Sotto di loro non cresce niente, né fiori né erba, niente. Ma di lato, di fianco, altri faggi. Se come il larice non riusciamo più a muoverci - parlo di movimento vero e non del nostro spostarci senza direzione - non potremmo almeno incrociare le radici come i faggi? Magari nascerebbe, come nella poesia di Chandra Candiani, «un concerto di saggi».
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