giovedì 14 aprile 2022
Guerra. Siamo costretti a fare i conti con una parola che molti di noi, illusi, pensavano di aver archiviato. Breve e intenso, e utilissimo, è l'intervento di Nicoletta Cusano sul “Corriere” (12/4), che spiega il passaggio dal greco pòlemos, al latino bellum, al germanico werra (da cui guerra, wehr e war), ossia dall'«invisibile armonia» dei greci al moderno «senso barbaro e distruttivo della guerra di armi e di parole». Nella stessa pagina c'è anche Silvano Tagliagambe, titolo: «Per capirsi anche i nemici hanno bisogno di regole». Si collega idealmente ai due Massimo Fini sul “Fatto” (13/4), titolo: «Le viscide guerre del secolo buio». Brillante e discutibile al suo solito, Fini ricorda che i “secoli bui” della guerra non sono certo il Medioevo, quando la battaglia vedeva impegnati nobili e professionisti, i morti si contavano sulle dita di una mano e i civili ne erano esclusi, mentre oggi sono le vittime principali. Fini è tra quanti incrociano da sempre i ferri con il mito dell'illuminismo, purtroppo motore – dicono – delle guerre moderne e delle stragi. A sua volta Francesco Piccolo, sulla “Repubblica” (12/4), conclude la sua intensa riflessione con un invito: «Da adesso in poi il compito, tutt'altro che generico, è di capire: non come sia possibile che gli uomini siano capaci di tutto questo, ma di come farlo finire». Ma è possibile riuscirci senza indagare nel più profondo del cuore dell'uomo? Susanna Tamaro sul “Corriere” (13/4) firma una pagina in cui ricorda: «Il cuore, come scrivevo nel mio libro più famoso, è come la terra: metà in luce, metà in ombra. Negare questa realtà pone, e porrà sempre, il nemico al di fuori di noi, trasformandoci in esseri che corrono famelici per la terra alla ricerca di sempre nuovi capri espiatori su cui scaricare la responsabilità del male». La guerra? «Arma i nostri cuori». La cura? «Ora dobbiamo tornare fragili».
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