giovedì 27 maggio 2021
Ho già avuto modo di raccontare, su questo diario, che attraverso le pagine che scrivo su Avvenire ormai da tempo a cadenza quindicinale sono entrato in contatto con altri malati come me, o direttamente con loro o con i loro familiari. Con qualcuno i contatti sono regolari. Quando parliamo, tra di noi, non chiamiamo la nostra patologia col suo nome – Sla – ma usiamo solo aggettivi. Nessuno, come intuibile, particolarmente lusinghiero: il più comune – oltre che l'unico riferibile – è “la bastarda”. Perché in fondo fotografa abbastanza bene quel che è la Sclerosi laterale amiotrofica, e i suoi effetti. Diretti e indiretti.
Intanto, già da come si manifesta, quell'aggettivo è più che meritato, anche se lo capisci dopo. È un male subdolo, vigliacco, che si traveste da mille altre cose, che non ti dice “eccomi, sono io”. Non c'è un'analisi, un esame, che ti dica che hai la Sla. L'elettromiografia può al massimo arrivare a sospettarla, a dire che “forse” potrebbe essere, ma poi occorrono mesi di osservazione – nel mio caso otto – per arrivare a una diagnosi. Un essere subdolo che si conferma poi nel suo modo di progredire, sempre che non sia una di quelle forme fulminanti che in pochi mesi ti portano via. Perché prima di ogni peggioramento c'è sempre un momento in cui ti sembra di stare meglio, di recuperare qualcosa, in cui riesci a fare meglio alcuni movimenti, a parlare, a ingoiare. Non durano molto, questi momenti, qualche giorno al massimo, ma comunque abbastanza da illuderti. Poi passano, e il peggioramento è allora due volte più deprimente.
E poi, ancora, si merita in pieno quell'aggettivo perché la Sla ti ruba tutto, senza alcuna pietà. Presto o tardi, un pezzetto per volta, inesorabilmente, dove tutto vuol dire proprio tutto. E questo succede senza che neppure ti metta al riparo da altro. Nel senso che non è neppure detto che tu che ce l'hai sia destinato per forza a morire di Sla. Niente affatto. Tu pensi: sono stato abbastanza sfortunato da essere stato sorteggiato alla lotteria della Sla, credo che possa bastare. E invece no. Perché se rientri nella media della sopravvivenza – da tre a cinque anni –, e più ancora se resisti oltre, fai in tempo a morire di tutto, tumore, infarto, ictus... Io, per esempio, a quattro anni dalla diagnosi ho già iniziato a prendere antitrombotici, anticoagulanti, e chi più ne ha più ne metta. La Sla non ti ripara da niente, insomma, ti lascia esposto. Aggiunge solo fatica, e che fatica. Come la chiamereste voi, allora, se non bastarda?
(54-Avvenire.it/Rubriche/Slalom)
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