giovedì 27 gennaio 2011
Enon cessiamo di interrogarci / ancora e ancora, / finché una manciata di terra / ci chiude la bocca" / Ma questa è una risposta?

Terribili questi versi del Lazzaro di Heinrich Heine (1797-1856), famoso poeta e scrittore tedesco. Nonostante la superficialità che la sommerge nella civiltà contemporanea, l'anima custodisce i fremiti di alcune domande fondamentali: che senso ha la vita? Perché il dolore? E il male? Quale meta ha la nostra storia e questo mondo? Esiste un Dio che ti ascolta? E oltre la morte? Interrogativi che si affollano alla mente e che talora esplodono drammaticamente nei momenti più ardui della vita. Anche per la cultura, la scienza, la società la chiave di volta è il punto di domanda; le scoperte hanno alla radice il «come?» o il «perché?». Spesso, dunque, troviamo risposte, ma altre volte ci sembra che il nostro interrogarci salga verso l'alto e si spenga, soprattutto quando siamo nel giorno della disperazione.
È ciò che afferma Heine, ma anche molti altri nostri compagni di viaggio nel mondo. La manciata di terra gettata sul nostro viso nella sepoltura sembra spegnere per sempre le nostre domande. Ma è proprio così? Già durante la nostra vita, aveva forse ragione lo scrittore inglese Clive Staples Lewis, quando affermava: «Spesso diciamo che Dio non risponde alle nostre domande; in realtà siamo noi che non ascoltiamo le sue risposte». Inoltre, anche in quell'estremo istante, c'è un orizzonte che si apre oltre la pala del becchino e che è destinato a rivelarci una risposta decisiva. Là, infatti, come diceva il poeta Rainer Maria Rilke, c'è l'altra faccia della vita rispetto a quella rivolta verso di noi ora. Là potremo, allora, avere le parole definitive di Dio in modo diretto, perché lo vedremo faccia a faccia, noi parleremo con lui e lui con noi ed egli ci dirà: «Interrogami pure e io risponderò, oppure domanderò io e tu ribatterai» (Giobbe 13,22).
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: