mercoledì 12 marzo 2008
Quasi contemporaneamente sono entrate nelle librerie italiane due biografie di Coco Chanel, la più grande creatrice di moda del XX secolo. La prima è firmata da Louise de Vilmorin, scrittrice e avventuriera amica della stilista, incaricata nel 1947 di dare forma letteraria alle confidenze di Coco (Coco Chanel, Sellerio, Palermo 2007, pagine 104, euro 9). È una biografia inventata: Coco non dice di essere stata abbandonata dal padre in un orfanatrofio con le sue due sorelle, ma si inventa certe severissime zie. E il nobile di cui non fa il nome e che per primo le trasmette la passione per i cavalli iniziandola al gran mondo è il suo primo amante, Étienne Baslan, così come l'incognito aristocratico inglese che finanziò la sua prima casa di mode è Artur Capel, detto Boy, forse l'uomo che Chanel amò più di ogni altro e che morì in un incidente d'auto nel 1919.
L'altra biografia, scritta da Henry Gidel, è un lavoro serio e documentato (Coco Chanel, Lindau, Torino 2007, pagine 416, euro 24). Gidel non giudica mai la sua eroina, ammirandola «oggettivamente». E davvero Coco Chanel, all'anagrafe Gabrielle Chanel (il soprannome le venne dalla canzonetta che eseguiva, ventenne, nei locali di Moulins per gli ufficiali del 10° reggimento Cacciatori a cavallo), nata nel 1883, è un personaggio d'eccezione, che ha inventato la donna moderna vestendola con abiti che coniugano il lusso e la sobrietà, come il celebre «tubino nero» del 1926, che è diventato una sorta di manifesto. «Pauperismo di lusso», commentava Paul Poiret, il sarto che prima di lei aveva drappeggiato sontuosamente le signore del bel mondo e che morirà in miseria nel 1944.
La predilezione per i tessuti «modesti», come il tweed il jersey, per le fantasiose bigiotterie («Un collana di diamanti veri», diceva (e lei ne possedeva di splendidi, che non indossava), «è come appendersi al collo un assegno»), hanno fatto di lei una regina assoluta negli anni '20 e '30, consentendole una favolosa ricchezza in ville, giardini, arredi (i suoi favolosi paraventi cinesi di Coromandel).
Merito anche dei guadagni del famoso profumo «Chanel n. 5», così chiamato perché Ernest Beaux, il tecnico che lo creò nel 1921 mescolando essenze naturali e aldeidi, le sottopose una serie di campioni numerati e Gabrielle scelse appunto il n. 5. Il flacone quadrato di quel profumo, con il tappo sagomato a diamante, è un capolavoro immortale di Art Déco.
Con la sua ricchezza Coco Chanel diventò segreta mecenate delle arti: Picasso, Cocteau, Juan Gris, Stravinskij (che nutrì per lei una passione non corrisposta), Diaghilev e innumerevoli altri furono suoi ospiti per lunghi periodi, ed ebbe una predilezione per il poeta Pierre Reverdy, che alternava le crisi mistiche nell'abbazia di Solesme alle parentesi di lusso con Chanel.
Nel 1939 aveva chiuso il suo atelier, anche per ritorsione a uno sciopero indetto dalle sue lavoranti nel 1935. Ma, pur nel lusso, si annoiava e nel 1953, a 71 anni, orchestrò il suo rientro. La sua collezione fu dapprima un fiasco, perché il «new look» di Christian Dior aveva riportato la moda ai primi del Novecento («Non veste le donne, le tappezza», diceva Chanel), ma nel 1955 il suo tailleur a sacchetto, con i bordi profilati di passamaneria, fu un trionfo che dura tuttora.
Personalità eccedente e geniale, di lei ha giustamente scritto Jean Cocteau: «Le sue collere, le sue durezze, i suoi favolosi gioielli, le sue creazioni, i suoi capricci, i suoi atteggiamenti estremi, le sue gentilezze come il suo humour e la sua generosità, compongono un personaggio unico, intrigante, attraente e repellente al tempo stesso, eccessivo" in una parola, umano».
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