venerdì 11 maggio 2018
Alessandra De Luca
Cannes
Il debutto dell'Italia alla 71ª edizione del Festival di Cannes passa attraverso la Quinzaine des réalisateurs, che quest'anno festeggia il suo 50° compleanno e che ieri ha proposto La strada dei Samouni di Stefano Savona, palermitano trapiantato a Parigi, che alle immagini documentaristiche alterna le suggestive animazioni di Simone Massi. L'idea del film è nata quando il regista raggiunse Gaza nel 2009 per filmare la guerra e realizzare quello che sarebbe poi diventato il film Piombo fuso, dal nome dell'operazione militare israeliana. «Volevo mostrare la vita tra le macerie – ha detto ieri il regista – e in quell'occasione ho incontrato i Samouni, la loro storia di famiglia contadina palestinese martire. Ho capito che c'era molto altro da raccontare». La narrazione comincia con la piccola Amal che ricorda un grande sicomoro ora abbattuto. Poi è arrivata la guerra, suo padre e suo fratello sono stati uccisi così come altri 29 membri della sua numerosa famiglia. Ora bisogna però ricominciare a guardare al futuro, ricostruendo le case e la propria memoria. Le immagini reali si alternano nel film al racconto animato, che restituisce con grande poesia i ricordi del passato della famiglia («creo i miei chiaroscuri grattando un foglio nero come si scava la terra, facendo emergere la luce e la memoria») e alla ricostruzione in 3D della strage vista da un drone e ricreata a partire dai documenti della commissione d'inchiesta israeliana che indagava sulla strage di civili. «Dobbiamo assumerci la responsabilità di raccontare con semplicità situazioni complicate. Solo se conosciamo il passato possiamo comprendere il presente e costruire il futuro. La distruzione è cinematograficamente fotogenica, ma il cinema ha il compito di ricostruire dalle macerie».
È invece ambientato nella Leningrado dei primi anni Ottanta uno dei due film in competizione, Leto (“Estate”), diretto dal russo Kirill Serebrennikov, attualmente agli arresti domiciliari con l'accusa di appropriazione indebita di fondi governativi, ma probabilmente punito per i coraggiosi spettacoli satirici del Gogol Centre, di cui è direttore artistico, che prendono di mira il potere politico. Il film racconta la storia vera di Viktor Coj, un giovane musicista che cerca di farsi notare nella movimentata scena punk rock dell'epoca. L'incontro con il suo idolo musicale, Mike Naumenko, principe underground con gli Zoopark, e con sua moglie Natacha, cambierà per sempre la sua vita: il ragazzo diventerà infatti il leader dei Kino, gruppo musicale che oltrecortina era considerato alla stregua dei Beatles. Girato in bianco e nero non per citare il cinema classico, ma per restituire la plumbea atmosfera dell'Unione Sovietica, Leto racconta il fermento di una generazione che sulle note di Led Zeppelin, David Bowie, i Doors, i T-Rex, Lou Reed, Iggy Pop e persino Blondie sognava di rivoluzionare il mondo, rendendolo più libero e simile a quello abitato dai coetanei occidentali. Il regista gioca con l'estetica pop dei videoclip anni Ottanta quando gli attori reinterpretano celebri brani dei loro amati rockers, e restituisce non solo l'energia di un momento storico ricco di speranze, ma anche il fascino della giovinezza, estate della vita, tra amori romantici, amicizie forti e incrollabili ideali. Applaudito infine anche Yommedine dell'egiziano A.B. Shawky sul viaggio di un lebbroso alla ricerca della propria famiglia in compagnia di un piccolo orfano, che in quell'uomo sfigurato trova l'affetto di un padre e una madre. Un omaggio agli ultimi della terra che nonostante dolore e umiliazioni non smarriscono tenerezza, umanità e gioia di vivere.
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