martedì 25 settembre 2018
Lo splendore del creato, la sua capacità di rimandarci in modo efficace al suo autore, non devono farci dimenticare la sua provvisorietà. Gesù si è espresso così nel vangelo: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35). Questa convinzione della transitorietà della realtà creata, come indica la coppia "cielo e terra" ripresa dal primo versetto della Bibbia per indicare la totalità di quanto Dio ha prodotto con la sua azione creativa, era ben radicata nella prima comunità cristiana: tutti e tre i sinottici la conoscono in modo identico (vedi anche Mc 13,31; Lc 21,33). L'insegnamento dato qui da Gesù mette bene l'accento su quanto è intramontabile e quindi veramente degno di massimo interesse e attenta custodia. La contemplazione del creato è certamente positiva e fruttuosa, tuttavia essa rimane subordinata a un valore più prezioso perché comunicazione più piena, esplicita, di quanto il Signore ci vuole dire nella sua partecipazione d'amore. Che cosa rimarrà dunque del cielo e della terra? Cosa resterà di tutto quanto il creato? La sua origine e il suo scopo: il colloquio d'amore col Padre nel Figlio, realizzato tramite la parola di Gesù. Così recita un salmo: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6). La matrice dalla quale il creato proviene rimarrà, e non come ricordo museale, bensì come grembo sempre capace di produrre novità.
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