venerdì 20 aprile 2012
Martedì "Corsera" (pp. 36-37: "Chiesa e diritti umani, una lunga diffidenza") Paolo Mieli su un libro dello storico Daniele Menozzi. Sintesi estrema: i "diritti dell'uomo" sono, sì, al centro della "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII (1963), ma nei secoli il pensiero della Chiesa è stato molto difficile e contrastato. Si rievocano vicende degli ultimi due secoli e mezzo, dalla rivoluzione americana bene accolta dai cattolici, ai contrasti della Chiesa con la rivoluzione francese e con Napoleone, poi col pensiero laico e liberale fino ai tempi di Pio IX e al rifiuto totale durato ancora a lungo nonostante le aperture di illustri pensatori, con contrapposizioni anche dure all'interno della Chiesa ove tuttavia alla fine, sulla scia di un grande umanesimo, si fece spazio un pensiero aperto e profondo – si cita Maritain, e andrebbe ricordato che fu tradotto in Italia da un certo Giovanni Battista Montini... – che portò alla "Pacem in Terris" di Papa Giovanni e al Concilio. Lunga storia, ma con conclusione problematica. Mieli scrive che per Menozzi oggi c'è un «irrigidimento segnato da un invasivo ritorno della Chiesa alla legge naturale a danno dei diritti umani… carenze di un ambiguo aggiornamento ecclesiale, segno che non è mai stata del tutto superata l'eredità della tradizione intransigente». Insomma: «la definitiva riconciliazione tra Chiesa e diritti umani… deve ancora venire». Che dire? Che senza diritto naturale (diritto non "legge"), che viene prima delle leggi, non c'è base per i diritti umani (qui ieri Cardia, ragionando sulle ragioni di Papa Benedetto, c'è tornato su). E che certi ritardi non sono stati solo roba di Chiesa: la Dichiarazione universale dell'Onu è solo del 1948 e la segregazione razziale è durata fino ai nostri giorni. E quanto all'"irrigidimento" cattolico? Giri pagina e subito il primo titolo a p. 39 è "La persistenza degli stereotipi". Già questo è il problema…
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