martedì 30 maggio 2017
Ieri in prima e all'interno su “Libero” Pietro Senaldi: «Il Papa vuole comandare anche a Mediaset»! Francesco domenica, sapendo che in piazza San Pietro c'erano anche lavoratori Mediaset in difficoltà con l'azienda perché «in procinto di essere trasferiti», aveva espresso l'augurio che il problema «possa risolversi avendo come finalità il vero bene dell'azienda, non limitandosi al profitto». Insorge il nostro: anche lì «vuole comandare Papa Francesco, senza dubbio... l'unico leader di spicco in carica che abbiamo in Italia». Però lui non ci sta: occorre reagire «senza misticismi né sacri timori». Coraggioso! Ma forse domenica è quasi un pretesto: il giorno prima infatti, a Genova, il Papa aveva ricordato con forza che per la Chiesa chi gestisce un'azienda con il primario criterio del profitto, e quindi anche «licenziando, non è un buon imprenditore»! Lì, e non su Mediaset è il dente del vero giudizio che duole, e dove batte la lingua. E lì Francesco è semplicemente in linea con almeno 126 anni di magistero papale, da Leone XIII a oggi: con buona pace di Senaldi e chiunque altro. Un sorriso viene però spontaneo, stesso “Libero” (stessa p. 1 e interno) quando leggi “Pietro Selandi” (sic! Forse ancora Senaldi ndr) che con grande titolo contrasta «il partito animalista»: «Mettiamo un cane al governo»! Senza offesa: lì anche in prima pagina s'era trovato posto per alti latrati... . Altro? Sempre sul Papa a Genova ancora ieri fa da contraltare una pagina rispettosa e concorde di Fabrizio D'Esposito sul “Fatto” (p. 16): «Contro il totem della meritocrazia la grande lezione di Papa Bergoglio». Il «totem» è l'idolo del «merito» come primo e unico valore della persona: non conti per quello che sei, ma per quello che vali e rendi al padrone, che Francesco non definisce «imprenditore», ma appunto «speculatore». Non capire la differenza è vicolo cieco: sia in pagina che al Governo...
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