martedì 18 ottobre 2016
Nel 1981 abbiamo rifatto il tetto di San Martino a Zanega, piccolo insediamento longobardo poi passato ai Franchi. Fa corpo con la chiesa la "casetta", un unico vano con soppalco in legno che, nel muro di fondo, ospita un camino. Gli anziani ci dissero che, nei tempi antichi, "la casetta" doveva restare sempre aperta. La struttura addossata alla chiesa era dunque un "hospitale", a disposizione dei viandanti – pellegrini e mercanti - che vi potevano cucinare e dormire, prima di riprendere il viaggio per superare il monte o scendere in valle. Le ricerche ci hanno rivelato che ogni borgo di fondo valle – forse ogni comunità posta su una via trafficata – aveva un Ospitale. Nei centri più grandi questa struttura si è trasformata spesso in ospedale. Così è accaduto alla Spezia nel 1479, a opera della Confraternita dell'Annunziata. Le radici storiche degli Ospitali sono antiche. È il Concilio di Nicea (325) che obbliga i vescovi a provvedere, con apposite istituzioni, agli «stranieri» di passaggio. Qualcuno dice che questa soluzione, richiedendo finanziamenti e personale pagato, ha spento lo spirito di accoglienza diffuso nelle famiglie cristiane. Se ne può discutere. Ma per quanto riguarda le zone montuose l'Ospitale è la risposta adatta. L'Ospitale ligure di San Giacomo, posto a mille metri di altitudine, permetteva a chi saliva dalla Riviera di attendere il mattino prima di inoltrarsi nella lunga valle del Taro, innevata d'inverno. L'Ospitale di San Pellegrino, al confine tra Emilia e Liguria, era in costruzione nel 1382 e ha superato i secoli quasi indenne. La costruzione ha il tetto a due spioventi. Uno copre la chiesetta, l'altro copre quello che – almeno in origine – era l'alloggio. Una corte recintata e un porticato riparavano merci e bestie da soma. Un'offerta preziosa per i mercanti lombardi che superano il giogo portando «grano e lino», come afferma Agostino Giustiniani nei suoi Annali (1537), e «poi se ne ritornano portando olio e altri frutti che nascono più a mezzogiorno».Gli Ospitali, se godono di una rendita, possono mantenere un gestore, di solito un religioso. Col tempo le rendite calano e così, sui monti che circondano la valle del Vara, a metà Quattrocento un unico prete gestisce tre ospitali distanti tra loro oltre dieci chilometri. Molte delle antiche strutture sono scomparse. Ne restano le tracce e lo spirito. Nel 1868, sul Passo Chiapparino (Varese Ligure), G.B. Gotelli costruisce un rifugio munito di altare su un sentiero di grande transito. È un generoso ringraziamento, messo a disposizione di tutti, per aver ritrovato sano e salvo il figlio Lorenzo disperso in una bufera di neve. Ogni terza domenica di luglio, per ricordare l'evento, il Gotelli porta a dorso di mulo i paramenti per il prete e il vino per i partecipanti alla festa. L'occasione conviviale non si è mai interrotta. L'Ospitale di San Rocco, trasformato, è divenuto la chiesa parrocchiale della frazione di Teviggio, sulle pendici del Gottero. Accanto è stato costruito un oratorio che riprende un modello ospitaliero: una prima parte dell'interno è a disposizione dei viandanti, mentre la seconda parte – destinata alle celebrazioni – è munita di portone e di finestrelle "devozionali". L'elemento più singolare è il forno, in pietre lavorate e atrio coperto, rimasto inglobato in un fianco della chiesa parrocchiale. È lì che i poveri in transito potevano cuocere il pane con la farina ricevuta in elemosina.Oggi quel forno è a disposizione di tutte le famiglie della zona. Nella festa principale della parrocchia vengono distribuiti dei piccoli pani benedetti, memoria dell'antica tradizione e invito a un rinnovato spirito di ospitalità.
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