martedì 7 aprile 2015
Da convinto “catenacciaro” quale sono, ogniqualvolta si dibatte sul calcio “all'italiana” ho la fortuna di poter esibire la qualifica di allievo di Gipo Viani e Gianni Brera, rispettivamente l'inventore e il divulgatore del Catenaccio. Il primo me ne spiegò dettagliatamente la formula eterna, il secondo la filosofia e il contenuto culturale. Che ancor oggi posso opporre a chi vaneggia di tiki-taka e altre stramberie spesso fin troppo di moda. In questi giorni una battuta di Fabrizio Castori (l'allenatore del Carpi che ho ben conosciuto ai tempi del Cesena e del quale sempre più spesso si parlerà in futuro - come del Sarri empolese - appena sarà in Serie A) mi ha riportato a quei tempi; lui che condanna la mania estetizzante del possesso palla e esibisce il contropiede più brillante, ha colto al volo un suggerimento dei critici locali e ha detto sorridendo, senza arroganza: «Ho fatto il funerale al tiki-taka». Ma ha fatto di più, almeno per me: mi ha riportato fra i banchi di scuola, a Carpi 1963, quando la piccola capitale della maglieria si preparava a farsi conoscere anche nel calcio. Allievo di Viani e Brera - dicevo - ma nella pratica il mio vero maestro è stato Ivano Corghi, l'antico portiere del Modena che, divenuto allenatore, portò il Carpi dalla D alla C, la Serie che curavo per il giornale “Stadio”, utilizzando il catenaccio più solido ed esteticamente riprovevole (come direbbero i sacchiani) e tuttavia utilissimo. Potrei ricavarne un libro, raccontando le ore trascorse con lui e il giovane capitano Claudio Vellani, accostando alla pratica calcistica le quotidiane scoperte della vita della Bassa modenese, guareschiana provincia orgogliosa e produttiva, animata da una religione del lavoro che per meglio definirla si tira in ballo anche Calvino. Bene: questo piccolo mondo per me ormai antico sta per conquistare la Serie A, la grande scena dello spettacolo pallonaro, ma già' se ne parla soprattutto da quando Claudio Lotito ha infelicemente tirato in ballo proprio il Carpi per affermare che il Calcio Business trarrebbe danno dalla sua promozione. Il mondo di Lotito - a parte la Lazio di Pioli che evidentemente non gode delle sue cure “tattiche” - è quello che vediamo e visitiamo ogni giorno, traendone spesso vergogna: per la smodata passione del denaro che ha mutato anche i calciatori in macchine mangiasoldi; per l'odiosa cialtronaggine di procuratori, dirigenti e altri addetti ai lavori; per la sciagurata esibizione di presunti tifosi come quelli che hanno esposto gli indegni striscioni contro la madre di Ciro Esposito, ricevendo in cambio la solidarietà di complici anche altolocati e le critiche dei parolai d'ogni livello, capaci di far predicozzi, incapaci di sradicare dagli stadi la mala pianta del tifo violento e ignorante. Per questo credo che il “mondo” del Carpi potrà risvegliare non solo la nostrana conoscenza pallonara inquinata dai profeti del nulla, ma soprattutto aiuterà a crescere rigoglioso il bel Provincialismo già felicemente rappresentato da Chievo, Empoli, Cesena e Sassuolo. Se ne va il Parma, afflitto dai mercanti di bufale, benvenga il Carpi. E non solo a farci la morale, ma a divertirci.
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