mercoledì 12 luglio 2017
Divisi su tutto. La settimana che è passata è stata un bombardamento di mail contenenti i comunicati di varie realtà del mondo agricolo sull'accordo Ceta, ovvero il libero scambio delle merci agricole siglate fra l'Unione Europea e il Canada. Un compromesso che tutela 150 denominazioni protette di cui 41 italiane, che di fatto rappresentano il 92% delle nostre esportazioni in quel Paese. E se il presidente dell'Associazione Italia dei Consorzi Indicazioni Geografiche (Aicig) si dice mediamente soddisfatto perché «il compromesso riconosce il principio delle Indicazioni geografiche, fermo restando che tale accordo non debba in alcun modo rappresentare un punto di riferimento per gli accordi di libero scambio tra l'Ue ed i Paesi Terzi», la Coldiretti è contraria. Va ricordato che il Canada, Paese di diritto anglosassone, non riconosceva in precedenza nessuna tutela ai prodotti a denominazioni di origine, mentre ora ne riconosce il valore pubblico. Ma a che prezzo? Visto che i marchi precedentemente registrati in Canada, per esempio il Parmesan o altri che palesemente fanno riferimento ai prodotti di casa nostra, potranno esistere. Più che libero scambio, di primo acchito sembra di trovarsi di fronte alla libertà di confusione o a una vittoria di Pirro, se altri Paesi, con la scusa di riconoscere ciò che di fatto è legale riconoscere, sdoganeranno sotto i nostri occhi quello che negli anni è stato denunciato come italian sounding. La Coldiretti poi pone l'accento su una mancata reciprocità, soprattutto in termini di sicurezza alimentare, visto che in Canada sono ammessi almeno 100 prodotti chimici e fitosanitari che in Italia e in Europa sono stati banditi da 30 anni, perché considerati pericolosi per la salute. Per derrate alimentari che senz'altro costeranno meno, mettendo in difficoltà l'originalità di un'agricoltura, quella italiana. Il dibattito è ancora acceso, ma già all'interno del Pd c'è divisione, e la spaccatura tocca tutto il mondo agricolo, in attesa di una ratifica in Senato per il 25 luglio. C'è poi la protesta di quelle denominazioni più piccole che non sono state contemplate nella tutela, come per esempio il Prosciutto Cuneo e tante altre. La colpa? Essere piccoli, probabilmente, per cui, con la legge mai scritta del contrappasso, c'è pure la beffa di non poter crescere all'estero. Ora, sarà anche un compromesso questo trattato epocale, ma leggendo fra le righe sembra di riconoscere un pasticcio. Perché le denominazioni sono tutte uguali, piccole e grandi, per cui o si tutela il sistema intero oppure non se ne fa nulla, direbbe un buon padre di famiglia. Ma qui evocare la famiglia sembra inopportuno, e dalle dichiarazioni che abbiamo letto, sembra solo vincere il detto "mors tua vita mea". E questo proprio non va.
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