mercoledì 1 marzo 2017
Questi «100 testi non devono essere chiamati, con comoda saccenteria, "aforismi": anzi, invitiamo chiunque a guardarsi bene dall'usare una simile terminologia». La diffida è nello scritto introduttivo di Quirino Principe al nuovo libro di Anna Crespi, Epifanie (Jaca Book, pp. 120, euro 14).
L'intrattabile, intelligentissimo Principe (musicologo, poeta, saggista) decide «di chiamarli "capitoli", poiché li lega un ordine evidente che non troviamo, abitualmente, in Rémy de Gourmont né in Hugo von Hofmannsthal né in Giacomo Leopardi». Se lo scopo era di citare antifrasticamente alcuni maestri a piedistallo dell'autrice, l'elenco poteva essere ben più lungo e anche ben diverso: Lucus a non lucendo; Canis a non canendo.
Siccome l'ordine dei brevissimi «capitoli», elencati alfabeticamente da "Accoglienza" a "Voci", non è così evidente, se non bastasse (ma è più che sufficiente) Epifanie, li chiamerei "Lampi", "Schegge", "Barbagli", non essendo frammenti di un discorso (né, tanto meno, di un discorso barthianamente amoroso), bensì flussi di memoria che si intrecciano nella pluriforme soggettività dell'autrice.
Anna Crespi è presidente degli Amici della Scala, da lei fondati nel 1978, ed è naturale che musica, teatro, eventi culturali siano l'affluente – di ricordi e osservazioni – principale. Talvolta è in platea, accanto a un'amica grande ballerina (Amicizia), tal altra ascolta un oratore illustrare il quarto atto della Carmen (e Carmen gli getta un fiore); anche il lettore fa il suo ingresso nella Scala: «Colonne, stucchi d'epoca e il fiero busto di Toscanini. Le forme della bellezza ci vengono incontro quando entriamo nel salone», e una bambina è contentissima di aver fatto cadere, dal palco di terza fila del proscenio, la sua marionetta di Pinocchio proprio sul tamburo dell'orchestra.
La musica è sovrana: i violini e i violoncelli tessono la luce nella perfezione del suono; «I fiati varcano le fila sottili delle luci. Cambiano i riflessi, respirano, salgono fino all'ultimo chiarore del cielo»; «L'opera si apre alla verità»; «Le voci. E poi i corpi: ritmi, energia, musica. I suoni incontrano l'ascolto». C'è anche il duello, la sfida, la guerra: «Correvano e colpivano con daghe e spade. Combattevano in furiosi corpo a corpo. Ma colpivano talvolta a tradimento. Chi fuggiva si rifugiava in una capanna o nei canaloni di neve. Perché combattere ancora?»; «L'emozione mi fa paura. Non c'è intesa tra i contendenti. Subito dopo il drago, muore anche l'eroe».
Un ricordo edenico: «Il cucciolo d'uomo si era addormentato tra le foglie. Quando si sveglia è un adolescente e al centro della radura vede un animale bellissimo e a lui sconosciuto. Si meraviglia che non sia un cobra, né un orso, né una pantera o una tigre. Si meraviglia che la luna non sia più così vicina, né immagina che il bellissimo animale sia una giovane donna». Ma ogni idillio è di breve durata: «Non aveva avuto tempo per pensare. Tutto era accaduto così velocemente, in questo mondo dove tutti hanno una colpa e sono meritevoli di condanna». Il senso di colpa, anche sottinteso, è il chiaroscuro che dà rilievo a queste 100 accensioni: «Ognuno sa di non essere colpevole, eppure i giustizieri sono in agguato. Viviamo nel dolore senza nome. Se smettiamo di pensare, vediamo ogni essere umano fermo sulla propria fine». C'è luce, in questi frammenti, ma senza ottimismo: «La vita scompare e ricompare, svanisce per ricominciare, ma senza ritrovarsi. Spesso è difficile capire e, quando accade, la vita genera spavento».
Restano i colori, i suoni, le emozioni che si compongono in quadri alla Chagall: «Lei è in nero con un mazzo di fiori colorato che solleva. Sembra sollevarsi da terra. Una figura maschile vola sopra di lei. D'ora in poi coloro che volano avranno bisogno delle ali…». Ci sono libri che danno infinitamente di più di quanto la loro mole lasci supporre. Epifanie è di questi.
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