martedì 3 febbraio 2015
Lupus duplice. 1: in pagina Mattarella Presidente. Il cattolicesimo democratico – da Sturzo e De Gasperi, poi per percorso “carsico”, ora sopra ora sotto la cronaca fino a Moro, Zaccagnini, De Mita e Martinazzoli, passando per La Pira, Dossetti, Lazzati, Bachelet, Monticone, Scoppola, monsignor Bartoletti, il cardinale Pellegrino e tanti altri, pur talora avversato anche dentro la Comunità ecclesiale – riemerge. Non credo sia sbagliato pensare che anche il clima creato dall'elezione di papa Francesco e il suo pregare, dire e fare abbiano dato un contributo all'evento: in qualche misura (per alcuni) vera “riabilitazione”. Me ne rallegro. 2: ma anche qui occorre lucidità. Pare non c'entri nulla, ma non è così: titolo sul “Corsera” (29/1, p. 30): «Anche Giordano Bruno merita la riabilitazione». Recente pure un appello per la «riabilitazione» di Ernesto Buonaiuti. Casi diversi, ma occorre capire cosa sia «riabilitazione». Se è richiesta di perdono per le atrocità, anche fisiche nel caso di Bruno, subite dai due personaggi sono del tutto d'accordo: vere torture in ambedue i casi. Buonaiuti, vittima di crudeltà laiche del fascismo imperante e religiose di certi uomini di Curia del suo tempo, ha subito dolori ingiusti: papa Giovanni (12/9/1960) lo chiamò «il povero Don Ernesto»! Delle crudeltà va chiesto perdono. Ma se riabilitazione dice approvazione di tutte le idee, il discorso cambia. Troppe verità «di fede definita» sono state da lui rifiutate via via negli anni successivi alla condanna. E per Giordano Bruno la sua visione del mondo, il suo panteismo senza Cristo e anche senza Chiesa non cessano di essere ciò che sono stati. Chiedere perdono non è riabilitare tutto e tutti. Senza arroganza, ma con chiarezza: quella che serve anche verso il momento della nostra Repubblica italiana.
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