Chi si accostasse al libro di Steven Nadler, Il filosofo, il sacerdote e il pittore (Einaudi, pp. 224, euro 30), per ricavarne Un ritratto di Descartes, come promette il sottotitolo, resterà deluso. Perché il ritratto eseguito da Frans Hals, che sta in copertina, in cui la fisionomia del filosofo emerge da pennellate svelte e quasi rozze, confrontato nel primo capitolo con quello di un pittore anonimo più rileccato e definito, ma plausibilmente derivato dal primo e conservato al Louvre, potrebbe far pensare a una biografia induttiva di Descartes: invece il libro è tutt'altro.I capitoli, indipendenti, sono semplicemente accostati. Il secondo capitolo spiega analiticamente perché Descartes preferì trasferirsi in Olanda per proseguire con calma i propri studi, lontano da Parigi. E dire che, all'epoca, l'Olanda era dilaniata da controversie, non solo dottrinali, tra cattolici e calvinisti, con emarginazione della minoranza cattolica, per cui è singolare che il cattolico Descartes trovasse la tranquillità proprio costaggiù.Nel terzo capitolo si fa la conoscenza con "il sacerdote", che risponde al nome di Augustijn Alsten Bloemaert, inquieto ecclesiastico che assisteva i cattolici di Haarlem, colto, amico degli artisti, e anche di Descartes, senza che ci vengano forniti particolari sullo sviluppo di tale amicizia.Il quarto capitolo ha per protagonista "il pittore", cioè Frans Hals, apprezzato ritrattista della borghesia e ottimo bevitore. Esaurienti le spiegazioni del clima d'epoca che vede la diffusione maniacale dei ritratti, al punto che, da par suo, Marshall McLuhan altrove ha potuto affermare che i bambini sono un'invenzione dei mercanti olandesi del Seicento: prima di allora, infatti, l'infanzia non era stata presa in considerazione dall'arte, quindi non esisteva, e sono stati appunto i mercanti olandesi del Seicento a "inventare" i bambini, facendo eseguire ritratti dei propri figli.I successivi tre capitoli espongono la filosofia cartesiana nei suoi capisaldi, e Steven Nadler, che insegna Filosofia all'Università del Wisconsin-Madison, non ha felicissime doti di divulgatore. Del resto, non è facile sintetizzare Cartesio in un centinaio di pagine, e a onore di Nadler va detto che non si è tirato indietro neppure sul punto più controverso della filosofia cartesiana: la sua applicazione teologica alla transustanziazione eucaristica, con la formidabile obiezione di Arnauld, il quale osservava che in Cartesio «la transustanziazione del pane in Cristo sembra essere diventata in realtà la trasmutazione di Cristo in pane».Le pagine di Nadler sono un ottimo catalizzatore per risvegliare quello che di Cartesio già sapevamo. Così il famoso cogito ergo sum è tutt'altro che un'idea chiara e distinta, dato che fa appello al dato di esperienza; e la dimostrazione "razionale" che Cartesio dà dell'esistenza di Dio non fa che riprendere l'argomento ontologico di sant'Anselmo, col rischio pericoloso dello scivolamento dal piano logico al piano metafisico.Solo nell'ultimo capitolo il filosofo (Cartesio), il sacerdote (Bloemaert) e il pittore (Hals) vengono in contatto perché pare che il ritratto della copertina sia stato commissionato a Hals proprio da Bloemaert, per avere un ricordo dell'amico filosofo in partenza per la Svezia, chiamato dalla regina Cristina, desiderosa di acculturarsi. Povero Cartesio costretto ad attraversare le gelide strade di Stoccolma per recarsi dalla regina alle 5 del mattino, tanto da buscarsi la polmonite che lo porterà alla tomba l'11 febbraio 1650, a soli cinquantaquattro anni. Ma tutto è raccontato con acribia filologica, senza un minimo di patos narrativo.
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