venerdì 19 aprile 2013
L'amara notte di Coppa Italia con la Roma s'è conclusa con l'ennesima sconfitta dell'Inter (quarta consecutiva) e con poche significative battute che hanno simbolicamente inquadrato la drammatica situazione dei nerazzurri: da una parte le accorate parole del vecchio capitan Zanetti - il fedelissimo, bontà sua - che ha salutato i tifosi e precisato «abbiamo dato tutto quello che potevamo»; dall'altra una dichiarazione soddisfatta, non tracotante, del baby Destro - l'ex speranza nerazzurra diventata certezza giallorossa - che ha realizzato una doppietta decisiva: «Come ho vissuto la vittoria da ex? Bene. La decisione di mandarmi via l'hanno presa loro...». La crisi dell'Inter l'hanno decisa proprio Loro ed è puro esercizio di pensar debole limitarsi a considerare - nell'analisi del presente e guardando al futuro - le responsabilità vere o presunte dell'allenatore. Stramaccioni non è - né ha mai presunto di essere - lo Specialone; e non è neppure - come ha voluto precisare - il Normalone: all'Inter non c'è nulla di normale e le vicende delle stagioni post Triplete hanno superato di gran lunga gli episodi che nei tempi hanno aggiunto al suo riverito appellativo di Beneamata quello di Pazza. Ma la “pazzia” è stata spesso una qualità, un vezzo portato con stupore e allegria dai protagonisti come dagli appassionati che ricordano con orgoglio i campioni come Lorenzi e Beccalossi; oggi è una patologia sancita dai “casi” di Benitez, Gasperini, Snejider e altri frutti avvelenati di un calciomercato costoso quanto inutile, spesso inspiegabile. La notte della magica Champions madrilena era successo qualcosa che avrebbe dovuto influenzare le strategie del club: levando in alto la Coppa, Milito aveva detto, quasi a chiusura di una pratica «non so se resterò all'Inter», presto imitato da Maicon, mentre Mourinho inondava di lacrime Moratti confermando l'addio. Già: Moratti. A lui si torna, inevitabilmente, quando la squadra è in crisi. Circondato di vassalli, valvassori e valvassini, è in realtà sempre solo nelle sconfitte, così come assediato dai cortigiani nelle vittorie: da questi - consideriamo i fatti - nulla gli viene di positivo, almeno in proporzione alla libertà d'azione che concede; per questo, mosso da pena e amicizia insieme, ogni tanto Mourinho gli manda un messaggio, «tornerò», ma evidentemente per dar seguito a un malcelato desiderio s'aspetta decisioni importanti. Quali? Il dubbio - puramente dialettico - è su tre mosse possibili: Ristrutturazione, Rivoluzione o Rifondazione che appaiono gravate dai frutti avvelenati della Recessione in atto. C'è già chi immagina Moratti al mercato con la borsa piena di euromilioni, magari quelli appena incassati - via Russia - dall'azienda di famiglia: sarebbe un salto di qualità, dalla sopportabile pazzia alla follìa incurabile. Io - se appena il mio consiglio valesse qualcosa - suggerirei o la Restaurazione, portando a Milano, costi quel che costi, Mourinho, oppure la Cassa Integrazione per chi è all'origine di tutti i guai, dirigenti, tecnici e giocatori, restando finalmente responsabile e ricostruttore unico, come vorrebbe anche il popolo nerazzurro. In fondo, meglio solo che male accompagnato.
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