giovedì 28 giugno 2018
Carezze e schiaffi. Ieri a proposito dell'incontro in Vaticano tra papa Francesco e Macron «La carezza inaudita del Presidente al Papa» (“La Stampa”, p. 1 e int.), e qui (p. 2) l'amico Mocellin su «Un prete, uno schiaffo, un video: tanto interesse e due spiegazioni». Sorprese: sensibilità da una parte per quella carezza e indignazione dall'altra per la perdita di pazienza del prete anziano che battezzando un bimbo è irritato dai suoi «pianti disperati» e gli dà uno schiaffo. Carezze e schiaffi: dualità che può rappresentare la vita di tanti, o di tutti, anche se capita che a qualcuno – o a troppi – le carezze manchino del tutto e la realtà moltiplica solo gli schiaffi. Qualcuno di questi, però, può essere anche propizio, e serve qualche distinzione. Da mia madre, per esempio, da piccolo ne presi tanti, ma erano leggeri, e benevoli. Da mio padre uno solo, e servì da lezione preziosa. Dunque “preti” e “schiaffi”? Mi viene in mente un prete che insegnava religione in un liceo romano negli anni 70, “anni di piombo”, e che un mattino all'ingresso nella scuola fu salutato da due alunni, stesso nome, diverso cognome, con questo avvertimento comunicato con voce seria: “Ciao! Domani non ci siamo, noi due entriamo nella lotta armata!” Immediati partirono due schiaffi, frenati all'arrivo, ma veri. Perdita di pazienza? Nei fatti i due rimasero a scuola: oggi uno è avvocato e religioso con voti di povertà, castità e obbedienza e l'altro è generale dell'Esercito da poco in pensione... Se in quel momento quel prete non avesse perso la pazienza, e si fosse limitato a prendere atto della comunicazione parecchie cose sarebbero state diverse, e non certo migliori. Ci sono carezze che sorprendono, come tra Macron e il Papa, e ci sono schiaffi che servono. Quello del prete al bimbo è servito a poco, ma l'altro, negli anni di piombo, forse è stato d'oro.
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