sabato 22 febbraio 2014
Sulla mia scrivania un libro sulle chiesette alpine del Trentino copre i fogli di un giornale con le foto di un muro di fuoco sulle strade e le piazze di Kiev. Ora che le notizie del mondo ci arrivano con la velocità della luce, non si possono chiudere gli occhi, né coprire le orecchie per non sentire le grida di dolore e non assistere alla morte di chi chiede libertà e rispetto dei diritti umani. Come è lunga la via della pace e quante ferite ancora lasciano sulla nostra terra la tirannia, l'odio, la violenza! I giochi olimpici di quest'anno avranno nella nostra memoria il colore del sangue, che toglierà alle medaglie degli atleti quella gloria dovuta alle loro capacità. Un colpo di vento apre un foglio del libro delle chiese alpine dove le foto danno un senso di serenità e di pace. Ma leggendo la storia di ognuna di esse, scopriamo che sono il frutto di una preghiera nel ricordo di un'altra guerra, di altre ribellioni e violenze. Di legno, di pietre, con i campanili alti quasi a cercare sole tra le vette che le nascondono, danno un senso di serenità adesso che il rumore delle armi è sparito. Alcune hanno una storia di molti anni fa, quando sulle Alpi trentine passava la Prima guerra mondiale e gli alpini lasciavano la vita fra le rocce e i ghiacciai a tremila metri. Sono cappelle quasi sempre dedicate alla Madonna, forse perché l'ultima parola di un ferito è il richiamo a sua madre, ma in alto sul monte di Folgaria, dove ora si va a sciare, c'era l'abitazione di un eremita che aveva il compito di pregare e di suonare la campanella «con li cattivi tempi», come racconta la tradizione. Una bufera di neve un giorno si portò via tutto, allora i falegnami dei paesi vicini ne costruirono un'altra di legno scuro dotata di una campana più grande che il vento scuote quando sta per arrivare la neve. E così, di valle in valle, quasi un rosario di preghiere, le piccole chiesette aperte solo d'estate portano all'interno scritte in italiano, in tedesco e una nel gruppo dell'Adamello, costruita dai prigionieri della Prima guerra mondiale, anche in lingua russa. Dedicate a San Martino, a Sant'Uberto, a San Giorgio, a San Valentino, ai caduti di tutte le guerre, agli «amici andati avanti» fino a quella scavata nella roccia nelle montagne Giudicarie, dedicata alla fratellanza tra i popoli. Sono 180 le chiesette disseminate sulle Alpi trentine, nate dal bisogno di portare il sacro dentro la fatica e la violenza. «Le mani dure» è il titolo del romanzo di Rolly Marchi, che ci ha lasciato da poco, dove le mani servono per costruire, per salire la roccia, per farsi il segno di croce. Un giorno anche nella piazza Maidan qualcuno costruirà una piccola chiesa.
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