martedì 12 novembre 2019
Mi sta bene quasi tutto (anzi quasi niente) di questo calcio maleducato che pretende di mondarsi da mille peccati d'ignoranza inventandosi nuovi stili, nuove formule, sarrismi, guardiolismi, ronaldismi. Il campionato non è mai stato un esemplare di bon ton ma fra razzisti, cialtroni e burini abbiamo raggiunto un livello di ultracafonal dagostiniano (che almeno usa far ridere e ironizzare) sconosciuto fin nel medioevo pallonaro. E qualcuno, giusto per spiegare una maglietta verde, parla di Rinascimento. Mi sta bene quasi tutto perché ho la fortuna di poter contestare il malfatto e il maldetto e allora posso sfogarmi e dire che ciò che sta accadendo a Carlo Ancelotti è una vergogna. Il sopraccigliato di Reggiolo, forse il tecnico più vincente in circolazione, il più moderato, direi l'antico signore di campagna benestante e benvivente fra uomini e animali della fattoria pallonara, è arrivato a Napoli spinto da tre motivazioni: giocarsi il prepensionamento con la squadra che meriterebbe lo scudetto e tuttavia lo perde da anni, conoscere il tifo più caloroso e fedele (ex ore suo) e provare la vita insolita della città che s'inventa ogni giorno la ragione di esistere. Non glien'è andata bene una. E oggi, piuttosto che insultarlo e pretenderne l'allontanamento, bisognerebbe ringraziarlo per la scelta generosa in attesa del bello che può ancora venire, purché non si lascino soli lui e la squadra. Quante volte avete registrato lo stizzito lamento dei napoletani contro i campioni che non vogliono trasferirsi a via Caracciolo o al Vomero, luoghi dati all'ospitalità dei pedatori in magioni e panorami d'alto bordo? Essi si dicevano disturbati da vergognosi pregiudizi che tuttavia nel tempo son diventati realtà. Cosa dire alla moglie e ai figli di Allan che si sono trovati ladri in casa, offese per strada e insulti sui social solo perché lui ha disubbidito a un ordine del presidente? D'ora in avanti i campioni, a Napoli, possono arrivare solo se scapoli, scafati e strapagati. Ancelotti non ci credeva. Eccolo servito. Vien voglia di dire “te l'avevo detto” ma la storia è un'altra. È una storia appassionata che rischia di finire come certi matrimoni d'amore rovinati dagli accordi economici. Il 22 maggio del 2018 - se ben ricordo - feci l'ultima telefonata a Carlo. -Come stai «Bene. Sto per partire...». -Ma ho letto che resti... «No, torno a casa...». - A Vancouver o a Reggiolo? - «In Canada». - Ciaociao... Al pomeriggio, radio, agenzie, tivù e popolo raccontavano il santo accordo fra Ancelotti e De Laurentiis che posavano da sfidanti con la pistola. Non ci siamo più parlati. Né lo chiamo ora, quando si parla di crisi e anzi la si raccomanda per togliersi dai piedi un santone del calcio che non fa più miracoli. È l'errore di un mondo incattivito che invece di incamerare con mille grazie la voglia di giocare, di vincere e crescere insieme in una città meravigliosa, si divide, si lacera per un nonnulla e subito dopo - per diversificarsi vieppiù dai napoletani d'antan - spegne il sorriso e attende l'ora della ineluttabile sconfitta. Se Ancelotti vuole, può vincere ancora. Napoli “n'est pas fini...”
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