venerdì 17 aprile 2015
Siamo alle solite: quando si tratta di alimentazione, o di diete in particolare, la verità è qualcosa di sfuggente. E dire che siamo alla vigilia di un Expo che ha proprio come tema l'alimentazione. Ma arriveranno risposte oppure soltanto un dibattito senza fine che poi dà lo spunto per apocalittici titoli di giornale? Lo spettacolo cui abbiamo assistito questa settimana sarebbe divertente, se non riguardasse la nostra salute. Gli studi di genomica nutrizionale infatti sostengono che il conteggio delle calorie per prevenire l'obesità o il sovrappeso può andare in soffitta. Il problema non sarebbero infatti le calorie, ma la composizione molecolare dei pasti (carboidrati, proteine, lipidi, fibre...) che andrebbero ad incidere sul nostro Dna. Insomma, non c'è la certezza di un rapporto univoco tra calorie ingerite e aumento del peso: il nostro corpo non è una macchina così semplice. C'è addirittura un dibattito, anche questo senza soluzione, sulle calorie del vino, per cui chi beve (poco) vino rispetto a chi è astemio non avrebbe automaticamente un peso maggiore. Va bene, tutto è opinabile a questo punto, ma al di là di queste considerazioni rimane poi il rischio di assolutizzare un concetto e di abusare magari in quantità. La regola aurea rimane sempre la misura delle cose, e, se vogliamo, la rotazione degli alimenti nella dieta settimanale, cosa che sembra coerente con il concetto della dieta molecolare. Ma tant'è, proprio mentre si legge questa notizia sulle calorie, la Ue arriva, con il suo burocratico ritardo, a imporre ai produttori di vino di mettere in etichetta il valore calorico. Giustamente qualcuno ha iniziato a storcere il naso, anche perché quante notizie bisogna mettere su un'etichetta, e quante volte bisogna buttare via quelle già stampate per risparmiare sulla quantità, per lo sfizio di un qualche burocrate che magari sceglie un Barolo rispetto ad un Nero d'Avola in base alle calorie? Detto questo, sarebbe ancor più interessante stilare un elenco delle cose che dobbiamo sapere quando assumiamo una bevanda industriale qualsiasi. Siamo sicuri d'essere informati di tutto? E una volta che sicuri non lo siamo, che cosa succede rispetto ai consumi? Niente, semplicemente niente, perché l'eccesso di informazione pedante allontana l'interesse. E poi per un altro motivo quasi lapalissiano: la persona, si presume, è dotata di un criterio di giudizio, che si può anche chiamare buon senso. Se non ce l'ha, non c'è informazione che tenga; se ce l'ha, non sarà certo il prototipo di consumatore che immagina la Ue, ovvero un consumatore che spende 10 minuti davanti ad uno scaffale a leggere etichette e a sommare calorie con la calcolatrice. Ma perché vogliono cadere sempre nel ridicolo, con la pilatesca precauzione di sentirsi burocraticamente a posto?
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