venerdì 2 settembre 2016
Da quando sono entrato in età scolare, ho sempre considerato il primo settembre come l'inizio vero del nuovo anno. Si ricominciava, dopo il riposo dell'estate. E si pensava a cosa ci avrebbe portato il nuovo anno, a cosa ne avremmo fatto.Nella mia famiglia, povera, la vacanza era il giorno di ferragosto al mare (60 chilometri dal mio paese), partendo all'alba diverse famiglie sul vecchio camion preso in prestito da una fornace di mattoni, e tornando la sera sul tardi; il resto del tempo era, per me, di piccoli lavori in aiuto ai miei e di tante letture, i libri più lunghi e più densi della vecchia Bur che avevo lasciato da parte per quel mese, divorati, assorbiti e meditati, diventati domande, risposte, nutrimento.Ho mantenuto nel tempo l'abitudine di dedicare in parte l'agosto alla rilettura di un classico purché voluminoso, o a più opere di uno stesso autore, con cui sembra utile confrontarsi o ri-confrontarsi. Dickens, i russi, Manzoni, Stendhal, Achebe, la Dickinson, Melville, ma anche gli autori dimenticati, ingiustamente dimenticati, per esempio Roger Martin du Gard o André Malraux o Pio Baroja, o che le mode improvvisamente hanno trascurato, dopo lunghi periodi di successo, come la Blixen, come Joseph Roth.È un buon esercizio, di verifica e di confronto col presente. Neppure l'anniversario della prima guerra mondiale ha suggerito a qualche editore di riproporre Martin du Gard, o i ricorrenti discorsi sul «dio che ha fallito», il comunismo, hanno stimolato qualcuno a fare i conti con il Malraux più "macho", quello di La condizione umana, idolatrato da due o tre generazioni, o di I conquistatori, che è probabilmente il suo capolavoro.L'estate è un modo per alcuni di noi di liberarci dalla cianfrusaglia letteraria che riempie gli scaffali delle Feltrinelli, dell'esaltazione dell'effimero e del superficiale che riempie in massima parte le pagine dei quotidiani e settimanali dedicate alla cultura e dei festival-passerella, nei quali, ovviamente, il pregevole e lo spregevole si confondono nel plauso di critici senza più palato e negli applausi di un pubblico perlopiù disposto a tutto meno che alla fatica di pensare e di scegliere, visto che, per di più, si è in vacanza.La selezione è una legge di natura, dicono gli scienziati, ed è anche un modo di affrontare la nostra esistenza: scegliere la nostra compagna o compagno, i nostri amici, per il possibile il nostro lavoro, i nostri dopo-lavoro. Ma il mercato della cultura dice di no: farci ingurgitare quel che esso propone è il suo unico fine, in mille modi infiocchettato, ma non deve essere il nostro.Scegliere per noi e per gli altri quanto può aiutare a capire e ad agire, e non a dimenticare, a dormire – dovrebbe essere questo il primo dei buoni propositi di chi ragiona sui libri (e sui film, eccetera). Il primo, per l'anno che ieri è cominciato.
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